Titolo:I figli dell’Eden

Autore:Joey Graceffa

Editore: Fanucci Editore (28 marzo 2018)

Costo: Kindle € 4,99  – Flessibile € 14,90

Genere: Distopico

Pagine:360

 

Sinossi

Rowan è la secondogenita in un mondo in cui le misure di controllo sulla popolazione la considerano una fuorilegge ed è per questo condannata a morte certa. Da ormai sedici anni vive un’esistenza nascosta nell’ombra, senza poter frequentare la scuola, stringere amicizie o avere la possibilità di farsi impiantare negli occhi il chip che contrassegna ogni abitante di Eden. Inquieta e desiderosa di conoscere e vedere il mondo, fugge concedendosi una notte ricca di avventura e adrenalina. Finalmente scoprirà il valore dell’amicizia, incontrerà persone diverse dai suoi familiari, vedrà angoli inesplorati della città e luoghi lontani dalle quattro mura della sua casa. Ma le novità non saranno solo piacevoli scoperte e, in poche ore, Rowan diventerà una ricercata in fuga, scatenando una serie di eventi che potrebbero cambiare per sempre il mondo di Eden…

 

Recensione

Salve, Dame!

Ho letto per voi “I figli dell’Eden”, romanzo distopico di Joey Graceffa.

Volete sapere cosa ne penso? E allora venite con me!

“Il mondo è quello che è – morto fuori, vivo dentro – e io devo cercare di sfruttare la mia vita al meglio con quello che ho.”

Facciamo un gioco?

È quello che faccio sempre io quando leggo un libro.

Mi immedesimo.

Non è semplice, ma dà una soddisfazione! D’altronde lo diceva anche il sommo Umberto Eco: “chi non legge, a settanta anni avrà vissuto una propria vita: la propria. Chi legge avrà vissuto cinquemila anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito… perché la lettura è una immortalità all’indietro.”

E chi siamo noi per non seguire cotanto consiglio?

Chiudete gli occhi quindi, liberate la mente e fate finta di essere una ragazzina di sedici anni.

Il vostro nome è Rowan e vivete in Eden, una città ricostruita dopo l’Ecocrollo.

Cos’è l’Ecocrollo? È quello che abbiamo fatto noi.

Abbiamo ucciso la Terra.

“La Terra è morta, ma noi sopravviviamo ancora.”

Abbiamo ucciso la Terra e Aaron Al-Baz l’ha ricostruita per noi.

Al-Baz,visto da tutti come un Dio buono e giusto, creò appena prima dell’Ecocrollo l’Ecopanopticon, una sorta di intelligenza artificiale in grado di riassemblare ogni impulso elettronico e di convogliarlo in qualcosa in grado di curare e salvare il pianeta. L’Ecopan costruisce, risana, monitora, scansiona ogni essere vivente in Eden.

Eden è una città finta, dove gli alberi sono freddi e le alghe sono costruite sinteticamente.

Chissà se vi piacerebbe vederla.

Perché voi, in effetti, ci vivete, ma non l’avete mai assaporata.

In realtà non avete mai messo un piede fuori da casa.

E non per vostra scelta.

Siete un secondogenito e in Eden non c’è posto per voi.

Sedici anni chiusa in una casa piena di nascondigli segreti dove rintanarvi quando arriva un estraneo, sedici anni passati a ripulire le vostre tracce dalle mura di un luogo che avreste dovuto sentire vostro.

Sedici anni passati vestendo i vestiti del vostro gemello, colpevole solo di essere nato prima di voi.

Sedici anni in cui pensate che vi basterebbe l’impianto di lenti a contatto, destinate solo ai primogeniti, con cui l’Ecopan riconosce tutti gli abitanti di Eden, censiti proprio tramite questi microchip oculari.

Sedici anni vissuti col terrore di essere scoperti, visto che essere secondogeniti in Eden è uno dei più gravi crimini. La pena? La morte.

Sedici anni in cui avreste voluto che i vostri caleidoscopici occhi fossero dello stesso grigio spento e piatto di tutti gli altri cittadini liberi.

È tutta la vita che mi sento una preda, ma non sono mai stata cacciata. 

Quale persona vorrebbe essere libera a tal punto da diventare una preda?

Semplice: chi non ha mai avuto la libertà, fattore talmente tanto scontato per chi ne gode da sembrare una chimera per chi non ha mai potuto apprezzarla.

E quindi? Che fareste voi?

Scappereste.

“Adesso tu esci, mi ordino. Prendi quello che è tuo.”

Ed è proprio quello che fa Rowan, arrivando a vivere in pochi giorni situazioni che neanche una vita intera potrebbero riservare a chiunque di noi.

Un panegirico di avvenimenti la porteranno a confrontarsi col mondo, con il genere umano in tutte le sue sfaccettature. La condurranno mano per mano fino al raggiungimento della consapevolezza di sé, di ciò che è, di quello che può e vuole fare.

Sebbene a tratti abbia trovato un’eccessiva ridondanza di concetti, siamo davanti a un romanzo davvero ben congegnato, in cui l’avventura e i sentimenti si mescolano come un cocktail dal sapore lieve sul palato, ma pungente in gola.

Pagina dopo pagina assistiamo a una crescita inimmaginabile di Rowan, cosa che effettivamente mi ha spinto più volte a chiedermi come fosse possibile che una ragazzina di sedici anni, reclusa da sempre in una casa, riesca a barcamenarsi in situazioni dove anche John Rambo avrebbe delle perplessità.

Plauso per le descrizioni ambientali: con poche parole l’Autore riesce a trasmetterci immagini talmente tanto vivide da poter essere immaginate e sentite senza problema alcuno, create ad hoc per un romanzo che vive anche delle ambientazioni in cui è rappresentato.

Uno dei grandi protagonisti di questa storia, infatti, è a mio avviso proprio la Terra.

Non la Terra che siamo abituati a bistrattare noi oggi, ma quella di un futuro – grazie a Dio – lontano e incerto in cui tutto è sintetico, finto. In cui gli animali sono ricordati quasi come figure mitologiche. In cui solo gli anziani possono vagamente ricordare l’odore dell’erba appena tagliata.

Una pecca non trascurabile, a mio avviso, è l’inserimento di “biiiip” al posto delle parolacce: non so se sia così anche in lingua originale, ma lo ritengo uno stratagemma che fa perdere pathos e rende quasi ridicole alcune scene che altrimenti sarebbero eccellenti.

Restiamo in attesa del secondo volume di questa storia, chiusa in questo libro con un gran bel punto interrogativo carico di aspettative.

Alla prossima!

Laura Dark Pepper

STORIA