Titolo:I fiori non hanno paura del temporale

Autrice:Bianca Rita Cataldi

Editore:Harper Collins Italia

Genere:Narrativa Contemporanea

 

Sinossi

Bologna 1997. La stanza è in penombra e i libri e le musicassette sono sparsi dappertutto. Distesa sul letto, la camicia a quadri e i Nirvana sparati nelle orecchie dal walkman, Corinna muove i piedi a tempo e non stacca il naso dalla pagina. Ha sedici anni, i capelli rossi come fili di rame e un viso ricoperto di lentiggini su cui spiccano due occhi d’acciaio. È la figlia del primo grande amore di sua madre che se ne è andato poco prima del parto. Serena, detta Poochie, ha sette anni, i capelli scuri stretti in due codini fermati da elastici a forma di arcobaleno ed è la sua sorellastra. Il suo desiderio più grande è farsi considerare da quella sorella maggiore così misteriosa, sempre rintanata dietro le pagine di un libro e con le cuffie calcate sulla testa. Vivono in una grande e caotica tribù allargata in cui vige il matriarcato e dove per ogni decisione ci si rivolge al consesso delle antenate riunite nella cappella di famiglia al cimitero. Una famiglia fatta di donne dal sangue cocciuto e in cui nessuna tristezza può resistere di fronte al sapore magico di un tiramisù al pistacchio. Eppure l’equilibrio familiare comincia a vacillare quando Corinna riceve una strana scatola da scarpe chiusa malamente con del nastro adesivo. Dentro ci sono degli oggetti apparentemente scollegati tra loro, ma che sono l’ultimo regalo del suo vero padre, scomparso improvvisamente in un incidente. Corinna non ha dubbi: quegli oggetti hanno un significato e lei deve scoprirlo. Decide così di partire, insieme a Serena, per una caccia al tesoro per le vie di Bologna. La scatola in borsa e un sogno tra i capelli ribelli: trovare il segreto delle sue radici e, inevitabilmente, la propria strada nel mondo.

 

RECENSIONE

 

“Ho sempre creduto, sin da quanto avevo otto anni e la nonna si spense tra le mie braccia, che la morte è nella vita e la vita è nella morte. Che il tempo è un fiume che scorre contemporaneamente in ogni punto del suo letto e che siamo nello stesso momento vecchi e giovani, morti e vivi.”

È con questo estratto, mie care dame, che oggi vi parlerò de I fiori non hanno paura del temporale di Bianca Rita Cataldi. Vi parlerò di Serena detta Poochie e di sua sorella Corinna e di una storia che ha fatto breccia nel mio cuore in modo delicato, una storia che profuma di tè al mirtillo, sugo della domenica, musica e colori.

Siamo a Bologna e siamo nel 1997. Serena ha sette anni, ha una sorella di nome Corinna che ne ha sedici. Serena è la classica bambina curiosa, che pende dalle labbra di una sorella che vede come una piccola eroina irraggiungibile, blindata in quegli anni così tanto diversi da lei. Le cuffie alle orecchie, il walkman sempre dietro come un amico fidato, libri, tanti libri e discorsi e amiche, un mondo questo che Serena desidera toccare, capire, malgrado la porta della camera della sorella sia sempre chiusa. Eppure Serena non è solo una bambina che vive in una famiglia in cui il matriarcato sembra essere la colonna portante. Serena ha imparato ad avere occhi per vedere e cuore per sentire e questo, inevitabilmente, malgrado la sua giovane età, la porta a vivere l’Avventura con la A maiuscola: sua sorella Corinna.

“E Corinna?” le ho chiesto poi, anche se mia sorella non era lì e non poteva sentirci.

“Corinna…” Mi madre ha sorriso, malgrado tutto. “Lei è Anastasia.”

“Come la princ…”

“Non per quello. Anastasia significa resurrezione.”

Ed era vero. Ed era giusto. Perché non ho mai conosciuto una persona che, come mia sorella, sia morta e rinata così tante volte che il solo aggettivo viva non sarebbe mai potuto bastare per contenere tutto quel risorgere.”

La verità di un nome e del suo significato più intrinseco, il legame viscerale con le radici, con i riti, gli usi a volte popolari e le credenze, fanno da cornice a questa storia che si stringe sul vero significato del puro legame. È un legame l’affetto per i defunti che si riesce a percepire nei pensieri e nelle parole dette, è legame l’affetto per una nonna testarda e forte, per una levatrice che diviene madre acquisita, per la propria famiglia e per il proprio passato. Da qui infatti nasce questo romanzo: da un legame apparentemente spezzato che necessita essere ricucito. E allora la storia, quella raccontata tra queste pagine, diviene qualcosa di più. Diventa un ricordo che si srotola tra le pieghe del tempo, saltando dal presente, al passato e che ci racconta, ci fa sognare, ci pizzica il cuore in strette di tenerezza, mostrandoci un quadro molto più grande di quello che si possa pensare, insegnandoci, portandoci per mano attraverso vite semplici, ma incredibilmente non comuni. Insegna il vero senso dell’appartenenza.

“Ecco cos’è l’amore. Incontrarsi il 30 di febbraio e amarsi sui colori freschi finché non prendono forma. Non era la nonna a essere strana. Eravamo noi che ci innamoravamo in un giorno qualunque e facevamo l’amore sulle lenzuola inamidate, noi che dimenticavamo la terra e le radici, il refrigerio delle piogge e la necessità del dolore. Noi che smarrivamo il coraggio, che ci addormentavamo troppo presto o troppo tardi, che credevamo in un dio soltanto o in nessun dio affatto, che non capivamo l’importanza fondamentale del dubbio. Noi eravamo quelli strani.”

Attraverso gli occhi grandi e neri di Serena, leggiamo i volti delle persone, ascoltiamo cuori che gridano mancanze, desideri, che tacciono il loro dolore dietro sorrisi d’affetto. Serena così diventa nella sua ingenuità, nel suo modo basilare di vedere la vita, la chiave nascosta per comprendere. E come un pianeta che gravita intorno a un altro, Corinna viene attratta dalla sorella più piccola in modo così naturale quanto tenero. Serena è l’unica che la sa ascoltare, malgrado tutto, l’unica che la sa accompagnare mano nella mano durante un breve tratto di quel lungo viaggio che l’aspetta.

“La mia vita è stata un susseguirsi di figure amate. Se chiudo gli occhi posso sfogliare i loro volti come fotografie in un album e li vedo rincorrersi: rapporti di sangue o affinità elettive.”

Ma serena non è solo la bambina dagli elastici a forma di arcobaleno tra i capelli e dal soprannome che la fa arrabbiare. Serena è la Cantastorie, colei che durante un giorno caldo di agosto trova lungo il ciglio della strada una Lettera 22. Una macchina da scrivere per una non scrittrice.

“I Cantastorie trovano una macchina da scrivere sul ciglio della strada e iniziano a scrivere perché è stato il mondo a chiederlo, e non potrebbero fare altrimenti. La differenza è tutta qui: nella magia.”

Non posso raccontarvi altro di questo romanzo. Ciò che posso dirvi è che questa è una storia dal gusto vero, spessa, colorata dalla luce di un tramonto, calda e confortante come il calore umido di una sera d’estate. È una storia di vita vera con la voce di De Andre che canta in sottofondo, il profumo del ragù e del legno appena tagliato che aleggiano nell’aria, quello della terra annaffiata, della pioggia e del sole che brucia. È una storia che sa di caffè e sigaretta, di musica dal gusto punk mentre in strada sventolano le bandiere di una manifestazione femminista del ’68. È una storia che racchiude tutto e che ti lascia con quel tutto che rimbomba nella testa per giorni, a masticare le parole spesse, a volte spigolose ma al contempo dolci, della verità. Un plauso va alla Cataldi per la sua capacità di prosa, per l’uso ricercato dei vocaboli inseriti come piccoli cammei pur senza appesantire la narrazione fluida e semplice, per la capacità che ha avuto di portarmi indietro nel tempo a quando sedevo sulle gratinate della facoltà di Lettere alla Sapienza ad ascoltare discorsi politici tra studenti, con un orecchio tappato da una cuffietta che sparava The Wall dei Pink Floyd. Per le poesie e la maestria con la quale ha illustrato il mondo degli adulti con occhi di bimba, per le citazioni, per la poesia che ho colto in ogni singola frase, come questa:

“I fiori piccoli sono i più preziosi. Così delicati, così fragili. Viene da pensare che basti una goccia di pioggia per distruggerli.”

“E invece?” lo interruppe lei, la pelle che le bruciava malgrado il freddo.

“E invece resistono. Non hanno paura di niente, neanche della pioggia, neanche del vento.”

 

 Alla prossima storia

Laura Pellegrini

Storia