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  • Formato: Formato Kindle
  • Dimensioni file: 2494 KB
  • Lunghezza stampa: 136
  • Editore: Òphiere; 1 edizione (21 dicembre 2015)

Sinossi

Un vecchio dai denti d’oro, ciccioni grandi come gorilla, cacciatori di tempeste, hacker informatici, massaggi cinesi, dita mozzate, piombo, latex. È Civitavecchia, strade larghe, strade strette e il porto di notte con montagne di coca. Andrea R. non vorrebbe occuparsene. Ma la faccia da zero assoluto nasconde il giustiziere più fumato e acuto di sempre. Un hard boiled al profumo d’asfalto.

qualche riflessione

Hard boiled, cinico e spietato, perfettamente inserito nel filone della tradizione della letteratura poliziesca di storie amare, di anti-eroi, dove il confine tra bene e male resta sempre labile, il limite tra giusto e sbagliato si sposta sempre, la frontiera tra buoni e cattivi è violata. Si tratta di (soprav)vivere, di adattarsi agli eventi, di cercare una zona grigia di compromesso che consenta di adattarsi alle storture della società corrotta e violenta, dove la Giustizia non corrisponde alla Legalità, senza perdersi. Senza lasciarsi inghiottire nella zona grigia dell’indifferenza.

Ѐ un noir, un romanzo nero, anche se i crimini non restano impuniti, e la giustizia diventa retributiva, a volte simile a vendetta.

Ѐ pulp, perché narra una storia popolare,con una trama che annoda fili di esistenze spente, dove i protagonisti hanno luci e ombre, in un chiaroscuro morale.  Ѐ un giallo che si svolge  nel tessuto sociale della provincia, tra i fenomeni dell’emarginazione, della corruzione e dell’indifferenza sociale, tra l’ ignoranza e il pregiudizio, maglie strette della solitudine esistenziale. Una storia di riscatto nell’omologazione del consumismo e dell’individualismo esasperato. Qui il crimine feroce e gratuito è la soluzione più amara, la giustizia diventa castigo, il castigo vendetta.

Nerd il protagonista, ipertecnologico, schivo e indolente, mente brillante ma intorpidita da qualche paradiso artificiale, annoiato dai demoni del quotidiano, della provincia

Era Civitavecchia, strade larghe, strade strette e il porto di notte con montagne di coca. E poi c’ero io. Cappello da ciccione e maschera di mister zero, cercavo di non espormi troppo .. Il mio quotidiano era fatto di programmazione in php, hashish e due o tre volte al mese, una cinese. Non era un granché per uno che ha trentanove anni. Ma vivere, ve lo giuro, non era mai stato così facile e questo lo sapevo capire.

Alla ricerca di tutto ciò che sia “altro”, virtuale, sintetico, irreale, fantastico, erotico. Rimedi per la ritrosia, per la mancanza di sicurezza, per la mancanza di gioia, per la confusione e, più in generale, l’inadeguatezza adolescenziale.

Un incarico all’improvviso sconvolgerà l’esistenza grigia del protagonista, che deve recuperare informazioni riservate da un sito protetto. La banalità del disfacimento della società civile? O forse c’è altro?

Comprendo attonito con quali calcoli astuti vengano perpetrate certe prepotenze. Ripasso mentalmente le mille declinazioni della parola inganno. Io non credo che si possa cambiare, non ci credo più, e non credo che questo Paese potrà mai essere salvo o salvato.Compriamo oggetti che nascondono maschere con dentro identità televisive. Siamo gli indigeni ammaliati dal luccichio del vetro. Siamo Gollum che si getta nel vulcano. Siamo il ciclope accecato da Ulisse. Siamo gli zeri davanti al numero. Finalmente sono a casa ma la sbronza non passa. Mi sbatto davanti al computer e trovo su Youtube il filmato di una scimmia che gioca con un computer: è molto brava. Volete una domanda seria? Secondo voi, cosa è che ci definisce come esseri umani?

All’ombra della Giustizia e dell’Amministrazione indolente si muove il Vecchio, un burattinaio che tiene i fili allentati del tessuto sociale della provincia, che copre le mancanze dello Stato,  risponde alle richieste inevase dell popolazione lesa. Ha una banda di gorilla e stanno arrivando soldi, per portare avanti un progetto a lungo accarezzato in segreto, che ha richiesto pazienza e lungimiranza.

Civitavecchia, sonnolenta, non sembra accorgersi della piccola rivoluzione in corso, i suoi abitanti trascinano le loro vite disillusi, inconsapevoli protagonisti dello stesso copione che il destino mette in scena a sorpresa. Tra vizietti e rimpianti, tra la noia esistenziale e la frustrazione del quotidiano. Come il Professore, che ha la mente sconvolta dal dolore per aver perduto il suo amore Silvia (nome azzeccatissimo per un fantasma della memoria e della rimembranza), un’anima fragile strappata alla vita dalla dipendenza

Silvia aveva chiesto una cosa strana: voleva scomparire. Lui non aveva capito subito cosa intendesse. Quando facevano sesso, voleva essere costretta, obbligata, voleva arrivare al punto in cui non si pensa. Voleva diventare un corpo abbandonato, un ingranaggio al suo servizio. Il professore l’aveva amata e basta.

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Quell’assenza di modernità le aveva dato la sensazione di poter evadere dai suoi anni forse troppo veloci. Camminava sul quel pavimento con la leggerezza di una nuvola, galleggiava in quel rallentamento per cercarvi le risposte e soprattutto per capire meglio le domande.

Ѐ un uomo arroccato, chiuso in una bolla fatta di calma e respiri misurati, che tenta invano di ritrovare se stesso, finché non tornano a tormentarlo lo spettro di Silvia, in un bara di legno bianco di un cimitero piccolo e dimenticato, e l’immagine livida della piccola Miram quasi uccisa dallo spaccio, in un letto di una clinica di periferia, senza voglia di vivere.

Non si invecchia con il tempo, – sussurra il professore guardando la clessidra, – ma con i pensieri.

La missione del protagonista intanto continua, sempre più coinvolto in questa banda anomala e misteriosa di pseudo-giustizieri, perché sente di essere parte di un disegno

Da un lato sono preoccupato, non capisco come abbia fatto il ciccione a sapere che fumo roba sintetica. Dall’altro il cuore mi pompa forte, sto facendo qualcosa. Non ho ancora il quadro di cosa sta succedendo, ma sento delle emozioni. Poi mi fermo e resto a guardare. Questa notte è tanto silenziosa da lasciare spazio ai pensieri. Questo tipo di atmosfera si posa sugli oggetti privandoli di qualsiasi quotidianità, li rende sterili. I mobili, il pavimento, la libreria, si trasformano nella scenografia perfetta per un monologo teatrale fatto di silenzio e respiri. Certe notti la mia casa rimane avvolta da questa sospensione e dentro vi passano i fantasmi. Pezzi di me, pezzi di quello che vorrei, pezzi di anticaglie non ancora sprofondate. Questa è la mia casa di notte.

Quasi come un’epifania  della tradizione del nuovo romanzo moderno secondo Debenedetti, un episodio banale durante la sfilata del Sindaco di Civitavecchia diventa evento. Un oggetto, il busto del Filosofo Immanuel Kant, si carica di un significato simbolico e improvviso, che darà un senso alla realtà

L’immagine onirica di quel Sindaco così lieve, così simpatico, così politically incorrect, così potente, frenato nella sua corsa al potere dal busto di un filosofo, sarebbe restata ai miei occhi la metafora perfetta del confronto tra l’etica e la politica.

Droga, carte imbarazzanti su movimenti di denaro sospetti che coinvolgono gangster sudamericani, cocco trafficanti sempre più padroni del porto di Civitavecchia. Un vaso di Pandora scoperchiato da un hacker super potente…così è, se vi pare.

Intanto la vita di provincia continua pigra, tra il pettegolezzo e i desideri inespressi, confidati solo alle piccole mongolfiere che i ragazzi accendono e lasciano volare nel buio della notte sul mare, sulle onde, in silenzio. Nella  quiete immobile delle cose compiute, il protagonista cerca di agire, come un moderno inetto, di capire. Sarà un toccante incontro con la splendida Sarina, donna vicina alla banda, a svelare qualcosa in più

Sarina con voce cupa sussurra: «Non è facile per nessuno.» Rimane come sospesa, sta per dire qualcosa, cerca le parole. Si capisce da come trattiene il respiro e muove le dita. Guarda in basso, si schiarisce la voce, gira la testa verso la finestra. «I cambiamenti sono difficili da digerire, – dice, – per chi li fa e per chi li riceve. La gente veniva a chiederci aiuto. Sembravano così stanchi, eppure quando hanno iniziato a raccogliere i primi risultati hanno avuto paura.

Anche il Professore si risveglia dal torpore emotivo, quando la piccola Miriam sta per uscire dalla clinica di disintossicazione, decide di diventare l’uomo che avrebbe sempre voluto essere. Con una pistola.

 «Tu quel confine lo hai mai attraversato?» «Io l’ho attraversato in tutti i modi, – aveva risposto lei, – ma il castello non c’era. Forse la vita è solo questo. Sognare un miraggio e sentirsi in colpa per qualcosa.»

 E come in un romanzo della nuova narrativa, tutti i personaggi prenderanno coscienza di un nuovo, più drammatico, rapporto con la realtà

Ho bisogno di tempo per comporre il puzzle, sistemare i pezzi, riconoscermi, ritrovarmi. Ma in quell’esplosione qualcos’altro si è rotto. È la patina di lentezza con cui mi proteggo dalle cose. È scomparsa. La mia distanza, la mia osservazione, la mia attenzione. Ho corso per un’intera notte senza farmi domande, senza scegliere, senza chiedere, senza capire. Quella frenesia pazza non riesco più a togliermela dalla testa. Continuo a ricordare il tipo con il mazzo di fiori mentre ruzzolava in terra. Forse è proprio questo il pezzo fuori posto. Quasi che l’avvenimento contenga una spiegazione ancora non decifrata. Mi addormento abbracciato a un cuscino.

Il trasferimento nel palazzo del Vecchio, i racconti del Blanco che hanno a che fare con il sangue, con il dolore, con bombe che poi esplodono, quello che conta, alla fine, è una banda di criminali che deve essere annientata.

Quella notte guardandomi in uno specchio mi sono visto sempre più sporco e sempre più vero.

Restano due verità. La moralità come legge nell’anima e il cielo stellato sopra le nostre teste, trapuntato di desideri e mongolfiere.

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Trama interessante, ottima soluzione tra noir, pulp e romanzo nuovo, personaggi complessi, che ricordano gli “inetti” di tradizione sveviana, disadattati estranei al mondo che li circonda che sentono però questo disadattamento nella società massificata come un privilegio.

La forma è particolarmente interessante perché l’autore sceglie l’alternanza e conferisce al ritmo narrativo un notevole dinamismo, si passa dall’accelerazione convulsa (momento di cooptazione nel “Club” ad esempio) alla prosa piana e di ampio respiro, pensosa e riflessiva (l’abitazione del Sindaco e il suo soliloquio suggestivo).

Un finale leggermente strozzato ma l’epilogo riesce in parte a mitigare l’impressione di conclusione brusca, con l’immagine finale del Professore.

Un taglio quasi cinematografico, con sovrapposizione di immagini, suggestioni e lunghi campi. Si rinnova con stile originale la tradizione del giallo italiano, con un tocco alla Black Mask, nella foschia e nell’aria salmastra del porto di Civitavecchia.

Saff

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