Titolo Tutta colpa della mia impazienza (e di un fiore appena sbocciato)

(Le ragazze di Verate Vol. 1)

Autore Virginia Bramati

CE Giunti

Data di pubblicazione 8 marzo 2017

Genere narrativa rosa

In occasione dell’uscita del nuovo romanzo di Virginia Bramati Tutta colpa della mia impazienza: (e di un fiore appena sbocciato) edito Giunti, è partito un blogtour per presentare questo romanzo delicato e intrigante, narrato da una autrice estremamente originale. Harem ha avuto il compito di incuriosirVi lasciando parlare direttamente il testo, presentando alcuni estratti, brani particolarmente suggestivi e piacevoli, che rendano l’atmosfera del romanzo.

https://haremsbook.com/tappa-harem-del-blogtour-tutta-c…/

Oggi Vi proponiamo, a chiusura del blogtour, qualche riflessione nella nostra recensione

Sinossi
«Sono nata con due mesi di anticipo, odio i tempi morti, sono fisicamente allergica ai giochi di pazienza e adoro il tasto fast forward»: Agnese è così, una ragazza esuberante, autonoma, in­sofferente verso il principio dell’«ogni cosa a suo tempo»…
Ma improvvisamente, ecco che la vita prende una piega terribilmente dolorosa e la scaraventa dal centro di una metropoli che non dorme mai a una grande casa lungo un fiume, lontana quanto basta per essere immersa nei ritmi lenti e immutabili della campagna. Non solo: quando l’inverno finalmente è alle spalle e tutto sta per sbocciare, si ritrova sola, con un esame importante da preparare e solo il ronzio delle api a farle compagnia.
Impulsiva come sempre, Agnese non si arrende e riesce ugualmente a riempirsi le giornate con tutto ciò che non dovrebbe fare… fino a che dalle pagine di un libro non spunta un piccolo dono prezioso: una bustina di semi di Impatiens, la pianta i cui fiori rosa hanno il potere di curare le ferite dell’anima e insegnare l’ascolto e l’armonia.Sullo sfondo di una campagna lombarda sorprendente e rigogliosa, non lontano dal magico borgo di Verate che le sue lettrici hanno imparato ad amare, Virginia Bramati ci regala ancora una volta una protagonista adorabile, piena di vita, alle prese con un mistero da risolvere, un esame da superare e soprattutto con il compito più difficile: scoprire che la felicità è molto più vicina di quanto pensiamo, se solo sappiamo rallentare e guardarla negli occhi.
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Inizia con un flash forward questo romanzo, la nostra protagonista sta per sposare l’uomo della sua vita, così non può fare a meno di ricordare, sopraffatta dall’emozione, dalla commozione e dalle aspettative. Di tornare indietro ai ricordi dolci di una estate indimenticabile, quella della maturità, del passaggio all’età adulta, della consapevolezza e dell’amore. Quella che le ha cambiato la vita…

“Mi prometti che non la perderemo, la capacità di stupirci a vicenda? E quella di toglierci tutto ciò che c’è di troppo, maschere e vestiti, e ascoltare il nostro respiro nel buio? Ti scrivo tutto questo perché ne sento forte il bisogno, perché domani inizia la nostra avventura, quella nuova, quella impegnativa, quella che un po’ mi fa tremare i polsi.
E di nuovo pensieri, ricordi ed emozioni che si affollano intorno a me.”

La prima estate dopo la perdita dolorosa di sua madre, dopo il trasferimento nella sonnacchiosa campagna lombarda. Sradicata, confusa, sola. Fino a quando…

«Ehi, Leo.»
Mi chiama Leo dalla prima volta che mi ha rivolto la parola. Dice che gli ricordo un leone e credo che la mia chioma bionda, ricciuta, incontrollabile e incontrollata, abbia avuto la sua parte nell’ispirargli questa similitudine.
Dovevamo abituarci a vivere senza la mamma. Senza le sue attenzioni e le sue coccole. Senza il suo amore per noi. E non volevamo farlo.
Un punto di riferimento, un compagno d’avventura ed un amico
«Cosa ne dici di Operazione Terra Rossa?»
«Non pensavo di dover dare un nome alla mia protesta, ma ci sta» l’ho accontentato.

«Scegliamo anche una parola d’ordine» ha proposto.

«Una parola d’ordine? Pure?»

«Dai! Tipo che uno dice: “Tennis Libero!”. E l’altra risponde: “Libero Tennis!”.» Ma guarda che il mio secchione serioso mi ha una vena infantile. Poi però mi è sorto un dubbio.

«Mi stai prendendo in giro?»

«Un po’» ha ridacchiato lui.

Ero sola. La mia vita, dal centro di Milano, si era spostata più a est di cinquanta chilometri e di molta solitudine. Come potevo pensare di farcela?

Il ritorno a Terzi, quel primo giorno, mi è sembrato (ed è stato) ancora più lungo dell’andata.

Perfetto, ’sto tipo vestito da emo fuori tempo massimo era anche un arrogante, borioso, irritante iscritto al classico. Oltretutto secchia. Mi sono rimessa immediatamente a sentire Ed Sheeran.

Non ho neanche colpevolmente rilevato l’uso del verbo al passato mentre parlava di suo padre. Non me ne sono curata. Non avevo intenzione di dare confidenza.

A lui che avrebbe avuto una parte così importante nella mia vita.

Impaziente la nostra protagonista, pronta a mordere la vita. In un momento della sua esistenza in cui la terra trema sotto i piedi, per una lezione dolorosa della realtà, eppure continua a sognare. Come una brezza d’estate attraversa la sua vita scrollandosi di dosso le logiche di causa – effetto. A contrasto la placida campagna lombarda con i suoi ritmi misteriosi e poetici dettati dalla natura.
I battiti tumultuosi del suo cuore giovane sovrastano il silenzio di questo luogo, la solitudine forzata (forse in parte cercata in questo momento delicato della vita della giovane protagonista), l’argento vivo che la contraddistingue brilla sempre: scalpita per vivere, conoscere, amare e sfidare tutto e tutti.

…ha estratto dal suo zaino una minuscola cartellina trasparente e se l’è appoggiata sulla testa. E mi ha ricordato una scena de Il mio vicino Totoro di Miyazaki, quando l’enorme mostro verde Totoro si ripara da un improvviso, forte acquazzone posandosi sulla testa gigantesca una foglia troppo piccola a mo’ di riparo: non ho potuto fare a meno di sorridere.

«Stai sorridendo, Leo.» Ha deciso di continuare a chiamarmi così anche ora che sapeva il mio nome.
«No, non è vero.» Ho cercato, inutilmente, di negare l’evidenza.
«Sì che stai sorridendo!»
«Ok, sto sorridendo perché sei ridicolo» ho ammesso.
«Sì, immagino di sì. Ridicolo e fra pochissimo anche molto bagnato.»
E allora per la prima volta l’ho visto per quello che era, un ragazzo come me, lui però simpatico e un po’ folle, con un inspiegabile interesse per quel tratto di Pianura Padana

Adelchi e Agnese. Due nomi che sembrano destinati a trovarsi, per percorrere un tragitto della loro vita insieme, non solo quello che porta dalla campagna a Milano, per andare a scuola. Adelchi aprirà gli occhi di Agnese, busserà con discrezione al cuore della giovane protagonista, riportandola alla vita. Come una primavera.

Tutte cose che io vedevo o notavo per la prima volta in vita mia.

«Non ti senti una privilegiata?»

«Perché dovrei?»

«Perché una frase come “il risveglio della natura a primavera” per noi avrà più senso che per i nostri compagni che vivono in città. Noi questo risveglio lo vivremo in diretta e in quantità industriale.»

E sono fioriti alla fermata dell’autobus, sui cigli dei fossi, nei boschi che attraversavamo, ma anche negli orti ancora spogli, nelle aie e vicino alle grandi stalle, rendendo tutto nuovo e pulito. Il primo segno tangibile della primavera.

E io ne ammiravo l’insieme di forza e delicatezza, ma a colpirmi era, soprattutto, la gratuità. Piante non curate, potate o concimate che ci regalavano uno spettacolo di cui anch’io, che sono sempre un po’ persa in me, dovevo riconoscere la grande poesia.

Per la prima volta mi sono sentita orgogliosa della mia nuova diversità. Quando Adelchi è arrivato ci siamo seduti vicini e la sua mano è scivolata sulla mia, ed è rimasta lì senza che io facessi nulla per allontanare quel calore.

Adelchi accompagnerà Agnese nel suo percorso interiore, di consapevolezza e crescita, di elaborazione del lutto. Condividendo con lei il dolore della condizione di orfani (Adelchi ha perso infatti il padre in circostanze misteriose) e la malinconia dei ricordi

E invece non abbiamo né studiato né giocato in quel primo pomeriggio insieme.

Avevo pensato di approfittare di lui per fare latino, contando di portarmi un po’ avanti con gli esercizi, ma appena ho afferrato il vocabolario (per la prima volta dopo settimane, lo ammetto) è scivolata fuori la bustina con i semi di Impatiens che avevo distrattamente infilato fra le pagine. Il mio «esercizio per allenare la pazienza», come l’aveva chiamato la mamma, rimasto lì da quel giorno di novembre. Un colpo al cuore.

“È vero, è impegnativo, ma assistere al miracolo della trasformazione di un minuscolo seme in pianta fiorita è impagabile, non trovi? Fa bene al cuore. Ed è un fantastico esercizio di pazienza, un vero e proprio”

Un elogio della lentezza. Una lezione che le ha lasciato sua madre. Proprio a lei, “Agnese o dell’impazienza”

E poi quel giorno aveva deciso che era arrivata l’ora che io apprendessi l’arte del pazientare porgendomi quella bustina di sementi e dicendo con sorridente solennità: «Ti affido questo compito: seminerai, seguirai le istruzioni, curerai il tuo semenzaio e quando sarà il momento metterai le tue piantine a dimora».

La bustina era di Impatiens.

E io mi sento circondata da lei, ed è un’emozione grande, dolorosa ma anche confortante. Che mi riporta a quel mondo, al nostro mondo.

Relazioni profonde descritte con garbo e delicatezza, con tratti di lirismo specialmente nella contemplazione della natura, che sembra riprodurre il miracolo della vita con il suo risveglio nell’alternarsi delle stagioni, proprio come il tempo che passa e porta i giovani verso l’età adulta.
Agnese scopre l’affetto, l’orgoglio della sua diversità, il fascino della Natura e…il piacere della lettura!

Questo poi te lo regalo. Leggilo, e se ci trovi, come sono convinta succederà, lo strumento per trasformare il leggere da dovere a grande piacere… be’, torna qui che parleremo della tua educazione alla lettura! Ma ricordati: non si devono avere preconcetti o falsi moralismi.»

«Per esempio?»
«Per esempio se leggi la trilogia delle Cinquanta sfumature non devi poi sentirti in dovere di leggere le Confessioni di sant’Agostino per fare ammenda.»
«Ammenda di cosa? E con chi?» Sono proprio incuriosita.
«Con la tua coscienza, perché magari ti è piaciuto un sacco.»
«Ah… capisco.»
E già questo Pennac mi ispirava simpatia.
Magari qualche pagina l’avrei pure letta.

Quell’estate tuttavia, i ritmi lenti e dolci della primavera, del risveglio dal suo letargo emotivo, cambiano tutto ad un tratto. Rimasta a casa a preparare l’orale di maturità, come un fiore di Impatiens sentirà esplodere le emozioni, il desiderio e dei sentimenti incontrollabili, sconosciuti.

Arriva un medico sostituto del padre a Terzi, un giovane medico, affascinante e dal passato misterioso

Quante volte le nostre teste sono così vicine che basterebbe un mio improvviso girarmi verso di lui per incontrare la sua guancia o le sue labbra?

Cerco di concentrarmi. Devo concentrarmi. Ma quanto è difficile in questa sera di luglio, con il profumo sontuosamente stordente dei fiori di tiglio che ci avvolge, con il convolvolo bianco e rosa che corre fiorito lungo l’impiantito del cortile. Poi il cielo si scurisce e inizia a rivestirsi di stelle e a sorpresa arrivano le lucciole ad aggiungere magia alla magia.

Di nuovo quella esitazione. E infine: «Hai dei programmi per oggi?».

«No, nessun programma.» Portami via con te. Via da questa noia molesta.”

E quando lui domanda: «Agnese?» con una voce resa irriconoscibile dall’emozione, io gli rispondo con un bacio. E poi c’è solo il piacere. Il mio. Il suo.

Rimango fra le braccia di Marco ad ascoltare il suo respiro leggero finché non mi addormento.

Tengo gli occhi chiusi. Non saprei cosa dire. Il mio cuore e il mio cervello mi inviano messaggi decisamente contraddittori. È stato, è tutto così bello ma forse sbagliato. Eppure, eppure così terribilmente bello.

Aspetti per anni le farfalle nello stomaco per poi scoprire che in realtà sono rinoceronti.

Quell’estate sarà indimenticabile, tanto che un pomeriggio nella cucina di Palazzo Bonvicini, sede del signorotto locale, pronto ad esercitare una decadente anacronistica autorità sulla comunità, tutto sarà messo in gioco. Agnese rischierà il tutto per tutto per il suo forte senso di giustizia, la sua onestà intellettuale, il suo coraggio e la sua caparbietà irruente.

L’amore sarà la ricompensa più grande. Tempo che lenisce il dolore. Tempo che guarisce le ferite. Tempo che porta giustizia. Un tocco noir piacevolissimo. Un risvolto suspense nella storia che con una nota di intrigo piacevolissima riproduce i vizi e le virtù della comunità di Terzi e diventa svolta funzionale alla trama. Un affresco della campagna lombarda sonnacchiosa e bella, Agnese è un fiore che sboccia esplodendo con la sua femminilità nei colori e profumi della giovinezza, con entusiasmo e sfacciata vitalità. Il ricordo della madre è una presenza forte e dolcissima, un punto di riferimento per la sua coscienza e anche per noi lettori. Adelchi ricorda la purezza dei sentimenti, l’amore più compiuto e completo, l’affetto e l’ amicizia. Marco è il futuro, il salto nel buio, la sfida, la felicità impaziente.
L’amore travolge, è esigente, impaziente…

Poi mi sussurra quelle parole che mi vanno dritte al cuore e lì rimangono: «Lo so, l’ho provato anch’io e non vorrei che nessuno mai provasse tanto dolore, e soprattutto non tu, che mi sei così cara e che vorrei poter proteggere da tutto». La sua stretta sulla mia mano si fa più forte.
Poteva dirmi qualcosa di più bello?
Così ha trovato l’Amore, o meglio l’Amore ha trovato lei
E a un messaggio come: «Sei sveglia, amore mio?» si deve rispondere subito. Perché, nonostante tutto, l’amore vero merita tutta la nostra felice impazienza.
l amore vero merita tutta la nostra felice impazienza

Saffron