Benvenuti amici, oggi in occasione dell’uscita di UNRAVEL ME di Tahereh Mafi HAREM’S BOOK in collaborazione con altri blog è lieta di presentarvi estratti e personaggi di questa splendida serie.

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La serie è così composta:
1. Shatter me (Schegge di me)
1.5. Destroy me (novella)
2. Unravel me
2.5 Fracture me (novella)
3. Ignite me

Una serie che nasce dalla splendida e brillante penna di Tahereh Mafi, un’autrice dall’ indiscussa fantasia e il particolarissimo stile.

Qualcosa su  TAHEREH MAFI
Ultima di cinque fratelli, è nata nel Connecticut e vive in California. Shatter me è il suo primo romanzo, i cui diritti cinematografici sono stati
acquisiti dalla Twentieth Century Fox.
Inizio innanzitutto a parlarvi di SHATTER ME che ho conosciuto grazie ad una mia cara amica, fidandomi del suo buon gusto ho iniziato a leggerlo e…è stato amore a prima vista o a prima pagina! Intenso, appassionante, uno stile unico e molto coinvolgente, una trama che crea suspense, dinamica, dolce, intrigante e unica, davvero un piccolo capolavoro dei nostri tempi!

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A voi la sinossi:
264 giorni chiusa in una cella, senza contatti con il mondo, perché Juliette ha un potere terribile: se tocca una persona può ucciderla. A tenerla prigioniera è la Restaurazione, un gruppo militare che intende usarla come arma. Scappare è impensabile, finché nella cella di Juliette entra Adam, un soldato semplice che scopre di essere immune al suo tocco. Il loro incontro è la scintilla che accende una
speranza, la chiave che potrebbe aprire mille porte.
Perché la vita li chiama, oltre i muri della prigione.

Mi cucio le labbra e mi metto a guardare fuori dal quadratino di vetro che qui chiamano finestra. Non sono rimasti molti animali, ma ho sentito parlare di uccelli che volano. Forse un giorno potrò vederne uno. Ormai girano storie talmente fantasiose che non c’è più molto a cui credere, ma negli ultimi anni più di una persona mi ha raccontato di aver visto con i propri occhi un uccello volare. Perciò guardo fuori dalla finestra.
Oggi passerà un uccello. Sarà bianco, e in testa avrà una corona di striature dorate. Volerà.

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Tremo. D’un tratto il mio corpo deve vedersela con un vortice di emozioni, il cervello è tormentato dall’idea del mondo che sto perdendo, si affligge per le parole di questo ragazzo che non si ricorda di me. Lascio cadere la penna e stringo la coperta talmente forte che rischio di lacerarla. Il ghiaccio mi trafigge la pelle, il terrore mi ostruisce le vene. Non avrei mai pensato che le cose potessero degenerare fino a questo punto. Non avrei mai pensato che la Restaurazione potesse spingersi tanto in là.
Inceneriscono la cultura, la bellezza che risiede nella diversità. I nuovi cittadini del mondo non saranno altro che numeri: facilmente interscambiabili, facilmente rimovibili, facilmente annientabili in caso di disobbedienza. Abbiamo perso ogni umanità.

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È da 264 giorni che nessuno mi tocca.
A volte penso che la solitudine che ho dentro finirà per esplodere lacerandomi la pelle, e altre volte dubito che abbandonarmi alle lacrime, alle urla o a una risata isterica possa essermi d’aiuto. A volte ho un bisogno così disperato di toccare di essere toccata di sentire, che ho la sensazione di essere in equilibrio sul ciglio di una scogliera, come se stessi per precipitare in un universo parallelo dove nessuno riuscirà mai a trovarmi.
Non sembra impossibile.
Ho urlato per anni, e nessuno mi ha sentito.

Le farfalle che ho nello stomaco s’incendiano. La mia carne brucia per via di un’inspiegabile mortificazione.
Non so dove guardare.
Un respiro pieno. «Ieri mi sono comportato da idiota.
Ti ho trattata male e mi dispiace. Non avrei dovuto farlo.»
Trovo il coraggio di incrociare il suo sguardo. Ha gli occhi di una perfetta sfumatura cobalto, blu come un livido che va formandosi, luminosi, profondi e risoluti. Ha mascelle solide e lineamenti scolpiti in un’espressione attenta. Deve averci rimuginato per tutta la notte.
«Non c’è problema.»
«Allora perché non mi dici il tuo nome?» Si protende verso di me, io resto immobile.
Mi sciolgo.
Mi liquefaccio. «Juliette» sussurro. «Mi chiamo Juliette.»
La linea delle sue labbra si addolcisce in un sorriso che spacca in due la mia spina dorsale. Ripete il nome come se lo rallegrasse. Lo divertisse. Lo deliziasse.
In diciassette anni nessuno ha mai pronunciato il mio nome in questo modo.

Arretro contro una delle pareti di questo rettangolo divetro e mi sento assalire da un improvviso nervosismo.
Warner mi blocca le braccia, avvicina pericolosamente le labbra al mio viso. Mi guarda con un luccichio negli occhi, uno sguardo che non promette nulla di buono.
Pronuncia una sola parola. «Sì.»
Ritrovo la voce dopo un istante. «Sì, cosa?»
«Sì, dai miei soldati. Sì, a costo della vita di un uomo.» Serra le mascelle. Parla a denti stretti. «Juliette, tu capisci davvero poco del mio mondo.»
«Mi sto sforzando di capire…»
«No, non lo fai» sbotta. Le sue ciglia ricordano tanti filamenti d’oro in fiamme. Ho quasi voglia di toccarle.
«Non capisci che il potere e il controllo possono sfuggire di mano in qualsiasi momento, anche quando sembra impossibile? Sono due cose difficili da conquistare, ed è ancora più difficile conservarle.» Faccio per parlare, ma lui incalza. «Secondo te non so che gran parte dei miei
soldati mi detesta? Non so che si rallegrerebbero di vedermi spodestato? Non so che una lunga fila di persone sarebbe lieta di scalzarmi dalla posizione che mi sono guadagnato con tanta fatica.»
«Non vantarti troppo…»
Azzera la distanza tra di noi facendo crollare sul pavimento le mie parole. Non riesco a respirare. Di fronte alla tensione intensa, quasi palpabile, che pervade il suo corpo, i miei muscoli iniziano a irrigidirsi. «Sei un’ingenua» dice a voce bassa, un sussurro stridulo che mi
sfiora la pelle. «Non ti rendi conto di essere una minaccia per tutti qui dentro. Chiunque avrebbe una ragione per farti del male. Non capisci che sto cercando di aiutarti…»

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Sinossi
Juliette è sfuggita alla Restaurazione e al suo leader che intendeva usarla come arma. Da quando vive al Punto Omega è libera di amare Adam, ma non sarà mai libera dal proprio tocco letale, né da Warner, che la desidera più di quanto lei credesse possibile. Tormentata dal passato e incapace di pensare al futuro, Juliette sa che dovrà compiere delle scelte difficili. Accettare il proprio potere distruttivo per metterlo al servizio della resistenza e, soprattutto, allontanare Adam pur amandolo con tutta se stessa.

Forse oggi nel mondo c’è il sole, come un uovo all’occhio di bue.
Forse la grande sfera gialla si riversa nelle nuvole, cola e sfuma nel cielo più azzurro di tutti, luminosa di fredde speranze e false promesse riguardo ricordi, vere famiglie, colazioni abbondanti fatte di montagne di frittelle condite con lo sciroppo d’acero e messe su un piatto, in un mondo che ormai non esiste più.
O forse no.
Forse è buio e umido oggi, il vento fischia tagliente e pungente contro la pelle delle nocche di uomini adulti. Forse nevica, forse piove, non saprei. Forse si gela, grandina, forse un uragano sta diventando un tornado, la terra trema e si sta spaccando per far spazio ai nostri errori.
Non ne ho la minima idea.
Non ho più una finestra. Non posso vedere ciò che c’è fuori. La temperatura del mio sangue è un milione di gradi sotto lo zero e io sono sepolta quindici metri sottoterra, in una sala d’addestramento che è diventata la mia seconda casa ultimamente. Ogni giorno guardo queste 4 mura e ricordo a me stessa che non sono una prigioniera non sono una prigioniera non sono una prigioniera, ma a volte le mie vecchie paure mi sfrecciano sulla pelle e non riesco a liberarmi dalla claustrofobia che mi attanaglia la gola.
Ho fatto tante promesse quando sono arrivata qui.
Ora non sono più così sicura. Ora sono preoccupata. Ora la mia mente mi tradisce, perché ogni mattina i miei pensieri scivolano fuori dal letto con occhi agitati, i palmi sudati e risatine nervose dentro al mio petto, che crescono minacciando di scoppiare ed uscirne, e la pressione è soffocante, soffocante, soffocante.
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Ha senso. Ricordo com’era il mondo quando l’ho lasciato.
Ricordo i cieli burrascosi e la sequenza di tramonti che crollavano sotto la luna. Ricordo la terra screpolata, i cespugli ruvidi e quello che un tempo era verde ma che ora si avvicina troppo al marrone. Penso all’acqua che non si può bere e agli uccelli che non volano, a come la civiltà umana sia stata ridotta a nient’altro che una serie di residenze che si estendono su ciò che resta della nostra terra devastata.
Questo pianeta è un osso rotto che non si è rimesso a posto, è un centinaio di pezzi di cristallo incollati insieme. Ci hanno distrutti e ricostruiti, ci hanno detto di sforzarci ogni singolo giorno di far finta che tutto funzioni ancora come dovrebbe. Ma è una bugia, è tutta una menzogna.
Io non funziono a dovere.
Io non sono altro che la conseguenza di una catastrofe.
2 settimane sono crollate al lato della strada, abbandonate e già dimenticate. Da 2 settimane sono qui e nel giro di 2 settimane mi sono sistemata su un letto fatto di gusci d’uovo, chiedendomi quando si romperà qualcosa, quando sarò la prima a rompere qualcosa, chiedendomi quando tutto andrà in pezzi. Nel giro di 2 settimane avrei dovuto sentirmi più felice, più in salute, avrei dovuto dormire meglio e più profondamente in questo spazio sicuro.
Invece mi preoccupo di cosa accadrà quando se non riuscirò a fare tutto per bene, se non riuscirò a capire come addestrarmi a dovere, se ucciderò qualcuno di proposito per caso.
Ci stiamo preparando per una guerra sanguinosa.

Ricerche.
Vedo delle sagome correre, boccheggiare su quelli che somigliano a tapis roulant esageratamente veloci. Vedo una donna ricaricare una pistola in una stanza piena di armi e vedo un uomo tenere in mano qualcosa che emette una fiamma di un blu intenso. Vedo una persona in piedi in una stanza piena d’acqua, ci sono corde accatastate, infilate nel soffitto, liquidi di ogni genere, sostanze chimiche, congegni di cui non riesco a ricordare il nome. Il mio cervello non smette di urlare, i miei polmoni continuano ad andare in fiamme ed è troppo troppo troppo troppo
Ci sono troppe macchine, troppe luci, troppe persone in troppe stanze che prendono appunti, parlano tra di loro, guardano l’orologio ogni due secondi e cammino in avanti incespicando, guardo troppo da vicino ma non abbastanza da vicino e poi lo sento. Cerco disperatamente di non farlo, ma queste pareti di vetro denso riescono a contenerlo a stento ed eccolo di nuovo.
Il suono basso e gutturale della sofferenza umana.
Mi colpisce dritto in faccia. Mi dà un pugno in pieno stomaco. Quando capisco, la realizzazione va a scontrarsi contro la mia schiena, mi esplode nella pelle, mi pianta le unghie nel collo e l’impossibilità della cosa mi strozza.
Adam.
Lo vedo. È già qui, in una delle stanze di vetro. A petto nudo. Legato ad una barella, con le mani e i piedi bloccati in posizione e i fili provenienti da un macchinario vicino attaccati alle tempie, alla fronte e appena sotto la clavicola. Ha gli occhi chiusi, i pugni serrati, la mascella contratta e il viso troppo teso a causa dello sforzo di non urlare.
Non riesco a capire cosa gli stiano facendo.

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Non so cosa stia succedendo non capisco perché stia succedendo né a cosa gli serva un macchinario, né perché quest continui a lampeggiare e ad emettere segnali acustici. Non riesco a muovermi né a respirare e sto cercando di pensare alla mia voce, alle mie mani, alla mia testa, ai miei piedi e poi lui sobbalza.
Si agita contro i sostegni, lotta contro il dolore fino a prendere a pugni l’imbottitura della barella; lo sento gridare d’angoscia e per un momento il mondo si ferma, tutto rallenta, i suoni sono strozzati, i colori sembrano macchie, il pavimento sembra piegarsi di lato e penso: caspita, sto davvero morendo.
Morirò o ucciderò il responsabile di tutto questo.

Lo vedo sorridere.
È un sorriso che lo trasforma completamente in qualcun altro, un sorriso che gli riempe gli occhi di stelle e le labbra di una luce abbagliante e mi rendo conto di non averlo mai visto così prima d’ora. Non ho mai visto nemmeno i suoi denti: drittissimi, bianchissimi, pura perfezione. È un ragazzo impeccabile fuori con un cuore nero dentro. È difficile credere che le mani della persona che sto fissando siano macchiate di sangue. Ha un aspetto dolce e vulnerabile… umano. Strizza gli occhi mentre sorride e ha le guance rosa dal freddo.
Ha le fossette.
Senza dubbio è la cosa più bella che abbia mai visto.
E vorrei non averlo mai visto.
Perché qualcosa dentro il mio cuore si sta lacerando e sembra paura, ha il sapore del panico, dell’ansia e della disperazione e non so come decifrare l’immagine che mi trovo davanti. Non voglio vedere Warner in questo modo. Non voglio pensare a lui come a qualcosa di diverso da un mostro.
Non è giusto.

«Allora, cosa è successo?» chiede piegando la testa all’indietro per guardarmi meglio. «Quando hai dato di matto. Ti ricordi se c’è stata una causa scatenante?».
Scuoto la testa. «Non lo so. Quando succede è come… come se andassi completamente fuori di testa» gli dico. «C’è qualcosa che cambia nella mia mente e mi fa… mi fa impazzire. Diciamo che mi rende folle». Lo guardo, ma il suo viso non tradisce alcuna emozione. Si limita a sbattere le palpebre, in attesa che io finisca. Così prendo un respiro profondo e continuo. «È come se non riuscissi a pensare lucidamente. L’adrenalina mi paralizza e non riesco a fermarmi, non riesco a controllare la cosa. Una volta che questa sensazione assurda prende il sopravvento, serve uno sfogo. Devo toccare qualcosa. Devo liberarla».

#unravelmereleaseparty
L’uscita del libro è collegata all’evento creato appositamente per il Blog Tour + Release Party che trovate in questo link https://www.facebook.com/events/1691197504523805/

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SCADE IL 3 DICEMBRE, IL GIORNO DOPO CI SARA’ ESTRAZIONE CON IL NOME DEL VINCITORE