Con il senno di poi è sempre facile riscrivere la storia.
Si possono aggiustare le cose, migliorare i personaggi, eliminare le ingiustizie.
E se la Perpetua di Don Abbondio avesse avuto un altro ruolo?
Quella giusta dose di malizia e femminilità da dirottare le attenzioni di Don Rodrigo? O dell’Innominato…?
Cercherò di non essere blasfema, ma non prometto niente!
Perpetua spalanca le persiane in una fresca mattina primaverile. Il lago di Como si stende sotto di lei in tutta la sua silente e magica bellezza.
Sprimaccia i cuscini e con una piroetta li posa sul davanzale. Deve pur farsi prendere bene quell’incarico.
«Non devi essere splendida per accendermi» canta, fingendo che lo spray per l’asma del curato sia un microfono. «Non hai bisogno di esperienza per spegnere il mio fuoco.»
Dentro le cuffie, Prince sparge baci e la brezza che entra dalla finestra gioca in favore della gonna leggera che si solleva, mostrando le gambe morbide e toniche della giovane.
Giovane, sì. Sfatiamo tutti questi miti che le perpetue siano zitelle, acide e over 50. Di 50, Perpetua conosce solo le sfumature: nero, rosso, grigio, blu, verde. L’arcobaleno, insomma.
«Perpetua!» Don Abbondio è costretto a urlare per farsi sentire dalla ragazza, che, a quanto pare, crede di essere su un palco di Broadway, invece che nella modesta dimora di un servo del Signore.
«Ah!» Grida senza fiato Perpetua. Si sfila al volo gli auricolari e guarda male l’anziano. «Cristo Santo, padre! Ma le sembra il caso di interrompermi così?»
«Non si pronuncia il nome di Dio invano.»
La ragazza lancia gli occhia al cielo e chiede mentalmente perdono al Principale. Torna negli occhi grigi del curato. Osserva la camicia sempre più stretta sulla pancia prominente, le calze contenitive per la gotta che sbucano dai mocassini lucidi.
«Non poteva toccarmi Tyler Anselm Bell?» brontola.
«Cosa hai detto, figliola?»
Ha parlato ancora a voce alta, dannazione. Scrolla le spalle in risposta, non può dirgli che si è iscritta ad Harem’s Book che traduce estratti di un libro in cui c’è un prete bello come una statua di bronzo e oscuro e perverso come il male più nero.
E lei voglio essere una pecorella smarrita nel bollente calderone ormonale.
Perpetua capisce che ha bisogno di sesso quando torna nella faccia rubiconda dell’uomo. Ha tralasciato una macchia di barba e la fronte è imperlata di sudore.
Che schifo. I libri illudono. Accidenti alle autrici.
Sesso, sì. Tanto. Sudato. Infuocato. Forse deve usare il vibratore che ha nascosto sotto la bibbia in sagrestia.
«Non si sente bene, stamattina?» Domanda più per distrarsi che per reale interesse.
Don Abbondio inizia a giocare con le dita. Lo sguardo guizza impaziente da una parte all’altra della stanza. «Attendo ospiti. Forse… Lascia stare quassù e sistema il salotto. Prepara anche una torta. O dei biscotti.»
Parla a impulsi come in una chat. Gli verrà mica un infarto?
Il campanello li distrae, ma la giovane aggrotta la fronte quando il volto del curato sbianca.
«Sarà Renzo» dice avviandosi svelta dabbasso.
“Meno male tra poco si sposa e Lucia gliela dà tutti i giorni” pensa “perché così non si può vivere. Tutti i santi giorni a suonare il campanello! E i fiori e le letture e i libretti e l’omelia…”
Apre la porta con fare svogliato, ma spalanca la bocca di fronte a due omaccioni barbuti. Alti, ben piazzati. Mani tatuate e labbra carnose.
La prima cosa che le viene in mente non è salutarli o chiedere chi siano, perché sa benissimo chi sono e da dove vengono.
La prima cosa che le viene in mente é: «Grazie, Signore, per avermi fatto indossare stamani l’intimo di Victoria’s Secret preso a sconto su eBay.»
«C’è il vecchio?» La voce cavernosa di uno si riverbera nell’andito spoglio.
«Sarà di sopra a snocciolare il rosario… Posso aiutarvi? Ditemi di sì, vi prego.»
I due si guardano, perplessi.
«Sai se domani ci sarà il matrimonio di Renzo e Lucia?»
Sbuffa. «Che diamine, anche voi? Siete i testimoni?» Li guarda ancora. «No. Nessuno è così fico in quelle famiglie.»
Una sfumatura rosata accende entrambi i volti degli uomini. Il primo si schiarisce la voce. «Questo matrimonio non s’ha da fare» chiarisce con aria minacciosa.
Perpetua lo guarda come se avesse tre teste. «Ascolta bello, mi sono fatta un sedere quadrato a pulire tutta la chiesa per gli esauriti novelli di domani» inizia sparviera con un pugno piantato su una fianco e un indice brandito davanti agli oscuri ospiti. «Quello di sopra è ridotto uno straccio e avete presente la crisi di questo stato?» Domanda, invadendo i loro spazi personali. «Lo sapete? Eh? Eh?» Gli uomini sgranano gli occhi. «Se gli prende un coccolone dove finisco io? Chissà dove mi mandano! Meglio spolverare la corona di spine mentre ascolto Tom Jones che tornare al castello.»
«Castello? Che castello?»
«Dall’esaurito di Don Rodrigo. Quello sta peggio di Renzo e Don Abbondio messi insieme. Troppo King, glielo dicevo io! Ma nulla… Credo che il suo cervello si sia fulminato tra la visione di IT e quella di Shining.»
«Vieni con noi.» ordina uno.
La ragazza mugugna un’imprecazione. «Dai, ragazzi, stacco alle due. Fate i bravi.»
«Siamo i Bravi» apostrofa uno inarcando un sopracciglio.
«Ti ci ha mai passato nessuno la lingua su quella cicatrice?» ammicca. «Adesso andate…»
«Noi siamo i Bravi e ti portiamo da Don Rodrigo» spiega l’altro catturandola un gomito.
La caricano sulla loro Alfa Special.
La ragazza si trincera nel suo disappunto con le braccia incrociate al petto. «Niente. Non mi va mai bene un cavolo di niente!» Esclama in un tratto imprecisato tra quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi… «Non mi tocca solo il prete con la gotta, invece di un fico stratosferico. Adesso questi due mi portano da un signorotto che finge di rapirmi. Non c’è più il dark come si deve.»
«Siamo sicuri di portarla a casa?»
«Rodie è stato chiaro, la vuole.»
Rodie. Il soprannome la dice lunga.
«Con otto pasticche di Viagra… mi vuole!»
I due si guardano, ma non aggiungono altro. Non possono sapere che la ragazza è stata iniziata proprio dal loro datore di lavoro infido, insipido e pure sottodotato! Non sanno che il suo compito è sorvegliare il tonto prelato del paesello. Lei deve recitare una parte e lo fa. Bene.
Il castello è come Perpetua lo ricordava. Grigio, spento, con il muschio che si arrampica sulle pareti a nord, dove il sole indugia nelle calure estive e non le sfiora mai in inverno.
I Bravi la precedono all’interno. Percorrono una strada che la donna conosce bene, ma la stupiscono quando superano lo studio di Don Rodrigo e salgono ai piani superiori. Digitano una combinazione a una porta blindata e ci sono ancora scale.
La torre dell’Innominato… “Mi danno un cazzo di aumento” esulta. “Era l’ora.”
Il piccolo cuore sembra volare nel petto della ragazza che incontra per la prima volta il signore supremo.
Se parliamo in lingua fantastica possiamo dire che i Bravi sono gli orchi, Don Rodrigo sottodotato è Saruman e l’Innominato è Sauron.
E l’appellativo “Innominato” non è un caso. Il mistero avvolge la sua figura. Sembra un’eterea aura fatta di fumo e omertà.
«Eccola, Signore. Sembra sapere più del curato.»
La giovane fissa le spalle larghe di un uomo piazzato di fronte alla finestra. Le mani giunte dietro la schiena, le gambe tornite divaricate. La testa glabra.
Perpetua si ricorda di indossare l’intimo da combattimento.
«Non ne dubito» sussurra l’uomo in un ringhio sommesso che le rammenta un leone.
Si volta. Lento e aggraziato. Una cicatrice gli solca il viso. Deturpa quei lineamenti da copertina e danno ai suoi occhi scuri un’aria selvaggia e assassina. Altro che aura eterea e occhi rossi del Signore degli Anelli.
Questo è un fico da paura.
«Lasciateci soli» afferma fissandola. Penetrandole la pelle, la carne e l’anima terrena. Risvegliandola e portandola al suo cospetto.
Il battente si chiude alle loro spalle.
«Don Rodrigo non vuole trattare più con te. I Bravi sono alquanto sconvolti. Cosa devo fare con te, Curcuma?»
«Un paio di idee bislacche le avrei» risponde, improvvisamente pronta e accaldata. «Ma evitiamo i rosari.»
Si avvicina. Un passo dopo l’altro. Un bottone della gabbana da lavoro dopo l’altro. Il fresco della stanza le tocca la pelle. E lo sguardo dell’uomo guizza sull’orlo del reggiseno.
Lo supera e si posiziona sulla scrivania. Il lago e la valle sotto di loro, incastrati in un angolo remoto del monte. Si siede sul bordo, in biancheria (oh, ragazze, Dio benedica i saldi online). Un piede su una poltrona e uno sull’altra. Sfacciata. Oscena. Libera.
«Mi hai fatto smarrire, Innie» ammicca, facendo guizzare la lingua tra i denti. «E non ho per niente voglia di ritrovarmi. Che ne dici se giochiamo alla pecorella e al lupo?»
Gli occhi dell’uomo bruciano sulla pelle diafana. Inspira mentre si avvicina. È su di lei con un bacio che non le lascia scampo. Le mani ovunque, a spogliarla, scoprirla, denudarla.
La gira, mordendole una spalla, per poi lenire il dolore con la lingua. I seni nudi si incollano al legno antico. Il sedere si espone alla vista e al desiderio dell’uomo.
«Direi di fare le cose per bene. Allora.»
«Se le fai per bene lo dico. E datti una mossa, perché i peccati terreni sono sottovalutati.»
Charlotte Lays
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