Un respiro si trattiene prima di soffiare per esprimere un desiderio. Respiro che è vita, eppure lo smorziamo nel momento in cui sogniamo perché interrompiamo – volontariamente- il ritmo convulso della vita. Solo un attimo. Quello in cui è concesso sperare, per poi tornare a vivere. Fino all’ultimo.
La delicatezza di Ferzan Özpetek, con la sua sensibilità spiccata, ci regala un romanzo che è come un soffio di meltemi, il vento che accarezza le coste della Grecia e della Turchia, quella brezza improvvisa che spazza e travolge le vite dei protagonisti di questa storia. Arriva timido, inaspettato, e le conseguenze sono imprevedibili. Dalle coste della capitale avvolta nel rosa dei suoi tramonti, alle mattine assolate della nostra capitale decadente e disincantata, in un racconto rarefatto e sublime, con un ritmo sorprendente, dalla prosa meditativa e densa. Densa di contenuti, simboli, memorie, echi personalissimi eppure universali.
Sinossi
È una domenica mattina di fine giugno e Sergio e Giovanna, come d’abitudine, hanno invitato a pranzo nel loro appartamento al Testaccio due coppie di cari amici. Stanno facendo gli ultimi preparativi in attesa degli ospiti quando una sconosciuta si presenta alla loro porta. Molti anni prima ha vissuto in quella casa e vorrebbe rivederla un’ultima volta, si giustifica. Il suo sguardo sembra smarrito, come se cercasse qualcuno. O qualcosa. Si chiama Elsa Corti, viene da lontano e nella borsa che ha con sé conserva un fascio di vecchie lettere che nessuno ha mai letto. E che, fra aneddoti di una vita avventurosa e confidenze piene di nostalgia, custodiscono un terribile segreto. Riaffiora così un passato inconfessabile, capace di incrinare anche l’esistenza apparentemente tranquilla e quasi monotona di Sergio e Giovanna e dei loro amici, segnandoli per sempre. Ferzan Ozpetek, al suo terzo libro, dà vita a un intenso thriller dei sentimenti, che intreccia antiche e nuove verità trasportando il lettore dall’oggi alla fine degli anni Sessanta, da Roma a Istanbul, in un emozionante susseguirsi di colpi di scena, avanti e indietro nel tempo. Chi è davvero Elsa Corti? Come mai tanti anni prima ha lasciato l’Italia quasi fuggendo, allontanandosi per sempre dalla sorella Adele, cui era così legata? Pagina dopo pagina, passioni che parevano sopite una volta evocate riprendono a divampare, costringendo ciascuno a fare i conti con i propri sentimenti, i dubbi, le bugie. Il presente si mescola al passato per narrare la potenza della vita stessa, che obbliga a scelte da cui non si torna più indietro. Ma anche per celebrare – come solo Ozpetek sa fare – una Istanbul magica, sensuale e tollerante, con i suoi antichi hamam, i palazzi ottomani che si specchiano nel Bosforo, i vecchi quartieri oggi scomparsi.
Nuova avventura letteraria del regista cinematografico turco naturalizzato italiano che riprende un suo progetto precedente al recente Rosso Istanbul e ci regala un’emozione. Più facile descrivere questo romanzo così, semplicemente. Özpetek ha il dono e il compito di narrare, scrivere emozioni nella forma suggestiva di un affresco, tratteggiato direttamente dal suo immaginario, che racchiude colori, suoni e ricordi, sguardi impressi su pellicola o su carta. L’autore ci ha traghettato con la sua sensibilità accentuata sempre in viaggi dell’introspezione verso l’aspirazione ad una realtà più autentica, diversa e forse lontana, suggerendoci un percorso che abbiamo intrapreso nella sua filmografia in cui ha saputo riportare ritratti di culture lontane nel tempo e panorami di mondi solo apparentemente estranei. Realtà vicinissime per il sentire, molto spesso accomunate da una sorta di oblio, di negazione, di emarginazione o trascuratezza. Özpetek ci ha sempre raccontato storie del quotidiano e ci ha parlato della vita, ci ha narrato l’esistenza di personaggi comuni vicini a noi che trascinano la loro vita in una calma apparente fino all’irruzione improvvisa di ciò che è diverso, di ciò che è estraneo ad un determinato contesto culturale ma che proprio per questo è foriero di novità, qualcosa che arriva come un innesco, una forza barbarica e rigenerante. Barbarica e vitale, perché con questa intromissione violenta nella calma apparente del presente, si rompe l’equilibrio come nella più antica formula strutturalista proppiana e il disturbo, la rottura di quell’equilibrio, provoca il caos, che sconvolge lo status quo, generando quindi delle reazioni a catena e mettendo in discussione ciò che sembra definito. Costringendo così i protagonisti ad una sfida con se stessi: chi sono? che cosa voglio? Fino a ricomporre le loro esistenze in una nuova armonia che integri questo elemento nuovo, che si raggiunge con la contrapposizione di forze opposte e discordanti, fino alla ricomposizione che crea un equilibrio nuovo: l’ armonia. La cultura letteraria dell’autore ci ricorda come il pluralismo e il multiculturalismo siano ricchezza tra acculturazione e assimilazione del diverso. L’elemento di rottura diventa quindi come in una reazione a catena un catalizzatore, una miccia che produce caos e meraviglia, stupore nel senso più arcaico del termine, perché costringe a ribaltare una realtà preconfezionata strappando il sipario del perbenismo borghese e della ipocrisia con cui siamo abituati a convivere. I personaggi sono sempre costretti a guardare la verità troppo a lungo nascosta, accecati brancolano storditi da questa rivelazione alla ricerca di sé, superando le proprie paure e le proprie fragilità. La loro vulnerabilità, finalmente esposta, sarà il motore di un lungo percorso, che li porterà alla crescita interiore e al raggiungimento appunto di una nuova forma di equilibrio che possa assimilare lo “scompiglio”.
Un viaggio introspettivo, come ogni libro, che ricorda come il viaggio sia autentico quando porta il pellegrino a partire e tornare diverso, perché si lascia contaminare dai luoghi del suo itinerario, siano essi luoghi dell’anima. Esplorando alla fine del viaggio non sarà più lo stesso, poiché la meta non conta, conta il percorso. Anche in questo romanzo c’è un viaggio, anzi, più di uno. Ci sono viaggi della memoria, ci sono fughe, ci sono allontanamenti, ci sono dietrologie, separazioni, forse le più dolorose, c’è un trasloco. Tutto gravita intorno ad un appartamento, un appartamento romano che sembra custodire la normalità del contemporaneo e che accoglie e nasconde fantasmi e ombre.
Una mattinata come le altre, nella luminosa routine, poi una epifania.
Fantasma, dea o spettro, chi può dirlo…
Irrompe improvvisa, una anziana signora che porta con sé tutto il fascino e il magnetismo di una terra lontana. Innegabile il taglio cinematografico con cui si imposta la storia, il lettore è immediatamente attratto dalla vicenda di queste giovani coppie alle prese con l’irruzione dell’incredibile nella loro esistenza. L’ambientazione e il settaggio del romanzo, tra romanzo epistolare e narrativa pura, ci portano a soluzioni care all’autore: una casa di Roma dove c’è un pranzo domenicale, giovani coppie felici della propria serena normalità, spaventate dalle responsabilità (un figlio in arrivo) e dalle verità scomode (un’omosessualità latente, la fine di un amore, un tradimento), amici e amanti, inconsapevoli protagonisti di un nuovo dramma borgheseIn questa situazione di calma apparente ed equilibrio fittizio fa irruzione come un vento profumato dell’oriente questa anziana signora.
Al collo porta una collana di ambra e tra le mani stringe un’elegante borsa ricamata. Il volto è solcato da una fitta rete di rughe, ma Sergio non ci fa quasi caso perché a catturarlo sono gli occhi, verdi e magnetici, sottolineati da una linea un po’ incerta di kajal.
Sergio la osserva, fra lo stupito e l’affascinato. Chi può essere quella donna? Di sicuro lui non l’ha mai vista. Anche lei lo guarda sorpresa. Anzi, più che sorpresa, scossa,
Sergio e Giovanna ricevono nel loro appartamento romano Giulio ed Elena, Annamaria e Leonardo, amici da sempre. Uomini e donne della media borghesia (avvocati o dottori) che si ritrovano per un momento di convivialità e amicizia. La coppia che riceve sembra serena e appagata, felice di poter vivere quell’appartamento accogliente insieme con i loro affetti. Sergio, giovane professionista bello, affascinante, una roccia affidabile; Giovanna moderna, pragmatica e perfezionista, forse talmente concentrata sui dettagli da non riuscire a vedere le crepe del suo matrimonio… L’arrivo di questa anziana signora catalizza l’attenzione e innesca una reazione a catena degli eventi, non è una deflagrazione improvvisa ma una implosione lenta con una onda d’urto che investe la vita di tutti i presenti.
Elsa Conforti, una donna che ritorna dal passato e ritorna al suo passato. Cerca sua sorella, per un saluto, dopo decenni, dopo averla rincorsa vanamente con le sue lettere poiché le era sfuggita.
Come spesso accade nella poetica dell’autore è una donna colei che si fa portatrice del vero sentimento, del mistero della vita, come una grande madre che sa e che custodisce i segreti della vita. Avvolta dal mistero, con il suo fascino, con le sue lettere brucianti, passerò il testimone, dopo aver incantato i presenti – e non la svegliamo altro della trama perché sarebbe un delitto – a sua sorella, più concreta, più pragmatica, segnata profondamente dal suo passato.
Lo stesso passato che ha diviso le due sorelle per ben cinquant’anni.
“Cara Adele, ti scrivo dalla terrazza di un caffè che si affaccia sul porto, a Kas. Mi fermerò ancora una settimana. È passato tanto tempo dalla mia ultima lettera…”.
Due sorelle, due storie narrate come binari destinati a non incontrarsi mai. Le lettere che Elsa ha spedito a sua sorella Adele ci parlano della giovane alla ricerca di se stessa in una Istanbul affascinante, discordante, tra tradizione e modernità. I ricordi di Adele ci portano in un viaggio nella memoria, una sorta di regressione dolorosissima. Due voci narranti che si sfiorano solo nel ricordo drammatico, nel passato, fino a fondersi, per portare i presenti ad essere fatalmente coinvolti. Da un lato nella ricostruzione, tramite i ricordi di Elsa, della Turchia degli anni ‘60 e ‘70 del XX secolo, in cui troviamo una giovane donna che lotta per ritrovare la propria libertà mordendo la vita con onestà brutale, tra corteggiatori, spezie, incontri mancati, promesse, emancipazione, amanti gelosi, amici distratti, brividi e tramonti, fino all’eredità di un vecchio bagno turco, tra i luoghi fatiscenti di una cultura dimenticata eretaggi culturali, mentre diventa gelosa custode dei segreti di un hammām, lei, che non ha mai voluto mentire. Neanche a se stessa.
…partire è stato come salire sulla montagna più alta: mi affaccio dalla cima e ogni cosa mi appare minuscola e insignificante, mentre l’orizzonte si apre ai miei piedi, colmo di possibilità. Dovresti provarci anche tu. Il dolore rimane, ma resta acquattato in fondo all’anima, e tu ti senti invadere da uno strano senso di sfida.
Dall’altra parte troveremo una donna che resta a Roma e lotta per la sua felicità, a tutti i costi. Anche a costo di bruciare nell’amore malato e perverso, quello cattivo e totalizzante, come una falena. Affamata di amore e schiava di una dipendenza, quella da un amore tossico, perché il sentimento narrato è un amore che consuma fino a sublimare lo stesso sentimento in qualcosa di violento e idealizzato nel ricordo.
Un dio a volte malvagio, ma sempre irresistibile…
C’era una sola cosa che avrei potuto fare per salvarmi la vita, ma era anche l’unica che avrebbe potuto uccidermi. Affrontarlo
Una fenice e una falena. E il fuoco di un amore senza pietà. Più forte della morte. E l ’amore che lega le due sorelle, perché questo è un romanzo d’amore innanzitutto tra Elsa e Adele, che celebra un legame indissolubile, quello della vita, fino all’ultimo respiro
«Poco importa: la vita scorre come un respiro. E dentro ci lascia la nostalgia per ciò che avremmo potuto fare e la consapevolezza di ciò che siamo diventate».
In un processo creativo circolare, un andare avanti e un tornare indietro continuo, Özpetek racconta una storia coinvolgente. Il racconto è infatti per definizione memoria di un fatto accaduto ma diventa quasi un flusso di coscienza in Come un respiro. Le due sorelle restituiscono al lettore una memoria di vita vissuta, tramite il carteggio o tramite i ricordi sparsi, che diventa un pezzo di vita alternativa e vissuta doppiamente, grazie alla immedesimazione nelle protagoniste del romanzo.
Noi abbiamo sfidato il destino, unite nell’amore, nel peccato, nel castigo.
Ogni romanzo sfida il lettore a qualcosa di straordinario e inevitabile, ancor più in questo caso, per il carattere misterioso della storia delle due sorelle, lontane ma incatenate da un segreto torbido, dal senso della colpa esorcizzata o espiata, in diversa misura e modo. La sfida vera però resta quella di cogliere tra le dinamiche drammatiche, il “senso” del dolore ereditato da questo sentimento lussurioso e nocivo, quasi una condanna a vita.
Con uno stile meditativo, riemergono le prospettive rarefatte come i cieli di Istanbul e di Roma, capitali preziose e decadenti, metropoli modernissime e multiculturali, scrigni di civiltà. Si animano di personaggi che sembrano principi dinamici, elementi instabili che con il loro vissuto raccontano la storia. La magia sta proprio nella drammatica constatazione che le due protagoniste raccontano la loro vita, ciò che le ha rese chi sono, condizionate dalla storia precedente che, ahimè…non è la storia precedente. Frammentati nei ricordi e nelle pagine vergate troverete una miriade di indizi che ricomporranno la storia, tinta di giallo, delle sorelle, quella vera. Questi brandelli di verità rischiareranno l’ oscuro passato
«Quante persone amano di nascosto, tramano, tradiscono. Io e mia sorella, no. Non più» osserva Adele con quel suo mezzo sorriso, quasi parlando tra sé e sé. La sua voce è tornata grave, quasi severa. «Noi siamo sempre state sincere. L’una con l’altra. Non abbiamo segreti, noi» aggiunge.
E intanto estrae dalla borsa uno strano oggetto dorato, una sottile bacchetta con una pinzetta a una delle due estremità, dove inserisce una sigaretta. Sul lato opposto l’asta termina ad anello, che lei indossa come un gioiello.
Accende la sigaretta, volta le spalle e se ne va.
Nello svolgersi delle due storie di questo romanzo parallelo come i binari dell’oriente Express preso dalla giovane Elsa, ci sarà chi ripercorrendo un viaggio a ritroso nel passato restituirà la propria storia aggredendo gli eventi con la mente alla disperata ricerca di una giustificazione e di una assoluzione (Adele); chi sarà sopraffatta da essi, accettando di viverli fino in fondo nel senso di colpa e peccato, (Elsa); chi, infine, subirà la storia tragica di queste due sorelle titaniche investito dalla loro brutale sincerità. E non potrà essere più lo stesso.
«Abbiamo continuato a consumarci, ciascuna prigioniera delle proprie colpe. Bruciate dalla stessa passione, ci siamo lasciati come due amanti».
Ancora una volta Ozpetek ci rende migranti, pellegrini, viaggiando non solo nello spazio e nel tempo, nei ricordi, ma nelle pieghe più nascoste della nostra coscienza.