Quel giorno, tornando a casa dal solito giro spesa, pane, macelleria e quel negozietto di leccornie che a Paolo piacevano tanto, Lene non si accorse nemmeno che il cielo, poco prima sgombro e luminoso, si era fatto minaccioso e plumbeo. E casa era abbastanza distante. Ma lei amava godersi quei momenti di libertà, anche se voleva dire, a volte, portare borse pesanti , anziché servirsi della sua comoda macchina . Quei momenti di libertà, seppur condizionata, le erano preziosi. Ormai da un paio d’anni, qualcosa non andava in quel matrimonio e si era impadronita di lei una muta rassegnazione, non aveva saputo reagire allora e non sapeva come reagire ora. Ora che, a 34 anni, la sua vita di donna era nel fiorire della maturità. Da dove le venisse quella sorta di depressione, lo sapeva bene. Si sentiva profondamente infelice, ma si sentiva anche ingannata a cominciare dai suoi genitori che, subdolamente, l’avevano spinto ad un matrimonio di convenienza con un promettente ricercatore rampollo di una famiglia di nobili origini. Erano passati sei anni e c’erano stati dei momenti nei quali aveva creduto di essere davvero innamorata di suo marito. O, almeno, ci aveva provato. Come aveva provato a dimenticare “prima”. Ma ora, ora che la pioggia iniziava a scendere e neppure neanche tanto clemente, sui suoi capelli tenuti lunghi e sciolti, sentiva dentro di sé un qualcosa che somigliava ad un barlume di speranza. E tutto per due righe lette in una mail inaspettata, il giorno prima. “Non ti ho mai dimenticata. Perdonami, ma dovevo dirtelo “ Non c’era firma, forse per lasciarle il dubbio che la cosa fosse uno scherzo o un errore, ma dentro sentiva che così non era. E insieme a quelle due righe, era nato un sentimento misto e confuso: gioia, speranza, paura. Era certa che si trattasse di “lui”.
«Mi stai proponendo di fare l’amore con uno sconosciuto?» chiedo allibita. «Non vederla così, è solo un esperimento» risponde Paolo, mio marito, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Non ci posso credere! Che sia malato pure lui, come quei guardoni ai quali piace contemplare la propria compagna in atteggiamenti intimi con altri? «E come dovrei vederla, scusa? Il mio tono di voce è salito, come il mio sgomento, non lo nego. Sono sconcertata. Non bastasse questa strana proposta, io a certe cose non ci penso quasi più. A dir il vero non mi attira più tanto neanche fare l’amore con lui. Non sono sempre stata così. Tutt’altro. Tutto questo è accaduto da quando è nata Lucia, che ora ha quasi tre anni. Tutte le mie energie, i miei pensieri, le mie preoccupazioni e il mio tempo, sono dedicati a lei. Una figlia che è arrivata dopo dieci anni di matrimonio, una figlia tanto desiderata e cercata. Certo, prima era diverso. Io e Paolo ci eravamo sposati per amore e avevamo un’intensa vita di coppia, anche tra le lenzuola. Poi, arrivata lei, i nostri incontri intimi si sono diradati e quelle volte che lo facciamo, io non ci sono proprio con la testa, lo ammetto. Una parte di me, è tesa, vigile, pronta a scattare al minimo rumore proveniente dalla cameretta di Lucia. «Non è come pensi, Lene, io sarei presente, ma non vedrei nulla. Me ne starei seduto sulla poltroncina in fondo alla camera, in maniera che tu non ti senta abbandonata. Potresti stoppare in ogni momento. Inoltre tutto avverrebbe nel buio completo e nel silenzio totale. In verità è proprio questa la particolarità. Né tu né lui dovreste parlare, a parte i naturali rumori tipo sospiri , per intenderci, ma nessunissima parola. Ci va di mezzo il buon esito dell’esperimento.» Paolo è uno psicologo sperimentale, cioè non fa sedute terapeutiche, almeno per ora non ne ha intenzione. Non è proprio il tipo da star seduto dietro ad un divano, ad ascoltare i monologhi della gente e prendere appunti. Lavora come ricercatore sempre nel ramo dello studio del comportamento umano. «E Lucia? Hai pensato a lei? » è il primo pensiero che mi si affaccia alla mente. «Chiaramente dovremo essere soli per avere dei risultati scientifici, la piccola andrà a dormire dalla nonna, bisogna che si abitui a staccarsi un pochino da te. In fondo ha due anni e mezzo, tra un po’ andrà all’asilo. Le fa bene stare vicino anche ad altre figure, abituarsi ai cambiamenti. Stai troppo attaccata a lei, cara. Sei una bravissima madre, ma sei anche un pochino troppo apprensiva e questo danneggia sia lei che te. In fin dei conti non è la prima volta che Lucia passa la notte dai nonni, ci è anche stata per un paio di fine settimana. Ti ricordi quando siamo stati a Londra e Parigi, a quei convegni, vero? E dopo, quanto ci siamo divertiti tra musei e tutto il resto?» e qui mi lancia uno sguardo molto allusivo. Inequivocabile. Arrossisco. Lui fa finta di nulla e continua: «E di certo non ne ha sofferto e neppure ha subito chissà quali traumi. Anzi, direi che non voleva più venir via, quando siamo andati a prenderla!» Era la verità, e mi ricordo pure che ne ero rimasta un pochino delusa. Certo non aveva fatto tanti capricci, quando mi aveva visto, ma non faceva neppure salti di gioia, per tornare a casa. Devo smetterla di comportarmi da chioccia, penso, qui Paolo ha ragione. Rivolgo lo sguardo a mio marito. È un bell’uomo, lo so che molte me lo invidiano. La mia amica Giovanna mi dice tutto e mi ha raccontato pure di certe attenzioni che lui ha schivato nell’ambiente di lavoro, che poi è anche il suo. Alto, spalle larghe, muscoloso quanto basta e un viso che richiama quello di Delon dei bei tempi. Neanche io sono male, ma rientro nella media, diciamo, tranne quando mi vesto in pompa magna. Intendo dire che se indosso tubini attillati e scarpe tacco dodici, le mie forme risaltano meglio e c’è chi per strada si gira, per darmi un’altra sbirciatina. Cose di pochi anni fa o, appunto, di quel paio di occasioni mondane. Per associazione di idee chiedo, forse stupidamente: «E come dovrei vestirmi per questo esperimento?» Paolo risponde tranquillo, come se parlasse del tempo: «Di certo non con mutandoni e reggiseno a prova di bomba. Mettiti un completino un po’ carino, ma non per lui, per te. Devi sentirti attraente, carica di desiderio, in una parola». A me appare ancora una proposta inverosimile, come si dice, quasi indecente e allora indago: «Non hai chiesto a qualcun’altra?» «E tu cosa avresti pensato se lo fossi venuta a sapere?» E pure questo è vero, non so come mi sarei sentita, di certo non tanto bene. «Non mi hai ancora spiegato lo scopo di questo, come lo chiami tu, esperimento» ,gli rispondo di rimando. «È una cosa che sto portando avanti con altri quattro colleghi, sparsi in tutto il Paese, tra cui due di sesso femminile, così forse ti tranquillizzi un po’. Stiamo finendo uno studio sul comportamento sessuale di una coppia in stato di semideprivazione sensoriale. In altre parole un uomo e una donna fanno sesso al buio, senza conoscersi e senza parlarsi, senza vedersi né prima né dopo. Alla fine si raccolgono i dati che poi sarebbero le sensazioni provate dai due. Il tutto per dimostrare la percentuale che gioca la fantasia in certe situazioni. Siamo a buonissimo punto, però ci mancano ancora dei dati da inserire, altrimenti tutto il lavoro va all’aria e perdiamo anche i fondi che hanno destinato al progetto». Guardo Paolo, lo amo tantissimo, o forse m’illudo di amarlo, ma resto ancora perplessa e chiedo nuovamente:
«Lo chiedi proprio a me, tua moglie? In pratica mi stai offrendo la possibilità di far sesso con un altro uomo, con la tua benedizione, per amore della scienza»
«Non è facile trovare qualcuno che capisca, perché sei una donna intelligente, pure tu sei laureata in psicologia e capisci l’importanza della sperimentazione. Infine perché di te mi fido e so che lo faresti per me. I tempi di consegna del lavoro stanno scadendo, Lene». Poi aggiunge che il mio compagno di esperimento è stato accuratamente selezionato dal punto di vista psico-fisico e, naturalmente, istruito sulle tutte le modalità. Accade che alla fine accetto, per amore di Paolo, ma lui vede che sono ancora timorosa e spiazzata e allora mi rassicura: non devo avere paura, la cosa avverrà nella massima discrezione io non vedrò il mio partner e lui non vedrà me, non sentiremo neppure le nostre voci. E poi mio marito sarà sempre in quella stanza, al buio. Scherzosamente aggiunge: «Voglio che le regole siano rispettate e non vorrei che tu ti prendessi una cotta per il tuo “amante”»
Due giorni dopo, mentre l’appuntamento si avvicina, io sono abbastanza in ansia, ma mio marito mi sa tranquillizzare. Mi ringrazia anche, perché dice che, grazie a me, lo studio sarà completato nei tempi previsti. E così poi verrà messo a disposizione della comunità scientifica e quei i fondi non andranno persi. Scelgo un completino rosso con pizzo nero, che mi fa apparire molto sexy. Aveva ragione Paolo, mi sento quasi un’altra, poi sopra indosso una corta vestaglietta trasparente. Lui mi conduce nell’altra ala della casa e precisamente nella stanza degli ospiti, una camera immensa arredata con mobili antichi e al centro della quale troneggia un enorme letto matrimoniale. In fondo, addossato alla parete, c’è un divanetto giallo d’epoca, dove Paolo se ne starà seduto.
Silenzioso e immobile. Paolo mi consegna una benda di seta nera, che io mi allaccio dietro, a coprire gli occhi. Ma intravedo ancora qualcosa, finché sento un click ed è il buio completo. Buio e silenzio mi circondano, mentre io sono adagiata tra le fresche lenzuola. Poi un rumore di passi.
Sento il materasso che si abbassa sotto il peso di un corpo e resto in attesa. Poco dopo, una mano scivola ad accarezzarmi il viso con un tocco lieve e delicato. Mi faccio coraggio, devo prendere confidenza anch’io e ricambio il gesto. Mi ritrovo ad accarezzare un braccio poi giù fino alla mano. Una mano maschile, grande, calda, che sembra gentile.
Sembra che il mio gesto sia un invito più esplicito, perché ora sono le sue mani che mi accarezzano il collo, da entrambi i lati. Poi lui si avvicina di più e al posto delle mani, lascia tracce di baci leggeri che, in certi punti, mi fanno venire la pelle d’oca. Delicatamente, trova la cintura della vestaglietta, e la scioglie, mentre io me ne libero del tutto. Non devo pensare ad altro, ha detto Paolo, devo concentrarmi sulle mie sensazioni, devo liberare la femmina che è in me, lasciando da parte tutto il resto. Le sue carezze stanno sciogliendo la mia tensione, sono ancora carezze innocenti e lievi. Gli tocco lievemente il torace ampio e nudo, la leggera peluria che sento. Siamo come due giocatori di scacchi, alla mossa di uno, corrisponde una contromossa dell’altro. E tutto questo mi sta cominciando a piacere. Dovrò riferirlo a Paolo, penso. Cerco di non pensare a quello che sto facendo, come a una cosa perlomeno, insolita. Il mio partner sembra più disinvolto di me, meno imbarazzato. Magari sarà abituato a questa specie di esperimenti. Temo il momento in cui, dovrà pur accadere, mi spoglierà e allora lo prevengo e, andando un po’ a tastoni, esploro il suo corpo in maniera più decisa. Percepisco la sua eccitazione, attraverso gli aderenti boxer che ancora indossa e, non nego che la cosa mi fa piacere. Da qualche parte della mia mente mi si affaccia un interrogativo potrebbe essere a letto con una donna bruttissima e sgradevole, eppure le sue reazioni dimostrano il contrario. È questo il ruolo fondamentale della fantasia? So solo che ci sa fare, dicendo la cosa in termini espliciti. E io seguo i suoi movimenti come in preda a un incantesimo. Traffico un pochino per slacciarmi il reggiseno e subito sento le sue mani che si sovrappongono alle mie, per aiutarmi. Si china e sento che fa scorrere la lingua nella striscia che parte dal solco tra i seni, e si ferma lì, per attimi interminabili. Poi una mano avvolge a coppa il seno sinistro, mentre la sua bocca scende a lambire quello destro, una sensazione sconvolgente quella che provo ora, forse dimenticata in qualche angolo della mente, struggenti esperienze passate, forse. I miei capezzoli, come animati da loro volontà s’inturgidiscono, ho quasi l’impressione che svettino e quasi me ne vergogno.
Poi ricordo: lasciati andare, lasciati andare, come un’eco lontana. E mi abbandono nuovamente. Sto per accarezzare i capelli del mio sconosciuto amante, quando la sua mano mi afferra entrambi i polsi e mi porta le braccia sopra la testa, immobilizzandomi. Sono alla sua mercé, solo lui può giocare in modo crudelmente piacevole col mio corpo, facendolo risuonare come uno strumento. In me cresce la voglia. Ma non posso dire nulla, sulla mia bocca aderisce la benda di seta, ma lascia sfuggire i miei sommessi gemiti. Lui sembra captare il mio stato d’animo, si stacca bruscamente, ma, dopo un attimo, sento sul ventre la sua fiera virilità. Avverto in me un senso di trionfo, mi sento l’ispiratrice, la musa della sua evidente e potente eccitazione. Non so fino a quando resisterò: io vorrei, io voglio, lo voglio dentro di me. Mentre riprende le sue carezze incantatrici lungo il mio corpo, mentalmente lo supplico di scendere. Pare avverta i miei pensieri e con le dita si fa strada nella mia umida fessura. Forse vuole prolungare l’atto, ma io sono già pronta. Glielo faccio capire, dischiudendo le gambe in maniera che lui si possa adagiare nel mezzo, come nella posa più classica e antica. Pare che avverta la mia urgenza, mentre io mi accorgo forse che non appartiene solo a me. Non sento il bisogno di altri preliminari, più audaci, avverto solo come un senso di dolorosa separazione se lui non dovesse completare l’atto. Ho quasi paura che, all’ultimo momento, dopo avermi riscaldata per bene, tutto finisca, che magari le luci si accendano, che io debba togliere questa sottile benda. Un pochino mi vergogno dei miei pensieri licenziosi, non conoscevo questo aspetto di me. Lene, moglie tranquilla e madre a tempo pieno.
Ma in questi interminabili momenti sospesi nel tempo e nello spazio, in questo silenzio e questo buio, le sensazioni si amplificano e sono solo una donna, una femmina che cerca il completamento finale. Mi pare di non aver un futuro. Il momento è adesso. Ora.
Ed è proprio ora che trova facilmente il mio sesso e, dapprima cautamente, se ne impadronisce e, intanto, mi ha liberato le mani cosicché mi vien naturale circondarlo con le mie braccia e sentirlo aderire di più a me, con tutto il suo corpo, che immagino giovane e magnifico, perché tale me lo rimanda il mio tatto. Poi le spinte si fanno più invadenti e vigorose. Vorrei che durasse per sempre, ma, nello stesso tempo, sono qui che fremo per arrivare al culmine, al momento finale dell’estasi. Come ho fatto a dimenticare quanto fossero sconvolgenti queste sensazioni? Non esiste spazio, non esiste tempo. La mente, il corpo, tutto è concentrato lì. Percepisco che lui tenta di rallentare, ma io gli vado incontro, quasi con violenza. E alla fine si arrende. Insieme ritroviamo il ritmo, un ritmo sempre più selvaggio. E io mi sento una donna completa. Quando arriva il culmine, mi ritrovo in un universo che esce da questa stanza, da queste mura. Allora scopro la mia completezza. Sento che lui ansima. Io, dietro la benda, non posso che mugulare, per fortuna, altrimenti urlerei di piacere. Lui si stacca lentamente, sento che si alza pian piano. Resto sospesa in una specie di limbo, ad assaporare sensazioni appena ritrovate, ma che ora sembrano avere un sapore antico. Persa in questo limbo mi si affacciano delle immagini, un volto Allora mi sveglio di scatto. Non è il viso di Paolo che vedo, nelle mie fantasie Silenzio intorno a me, attimi che sembrano interminabili. Ho compiuto il mio dovere di brava moglie-cavia. Per quanto dovrò restare qui? Infine, stremata dall’atto appena compiuto e dalla tensione accumulata, scivolo in un sonno piacevole, e ancora si affaccia un volto. Non è Paolo.
Nikolas raggiunse la riva con quattro vigorose bracciate, poi, esausto, si volse e rimase disteso sulla sabbia rosea con lo sguardo rivolto a quell’azzurro tanto uniforme da parere dipinto. Sapeva bene che tutto poteva mutare da un momento all’altro. Tra poche settimane il progetto sarebbe terminato. A lui era toccato un compito abbastanza duro. Paolo, il coordinatore, lo aveva chiamato poco prima, comunicandogli che aveva i dati dell’esperimento di deprivazione. Era stata per lui una coltellata: quel bastardo aveva impiegato Lene come cavia.
Keihra Palevi