Guardo tutti i miei bracci destri, uno per uno, mentre elencano diligentemente i resoconti delle mie attività. Tutti seduti sulle spine all’imponente tavolo ovale laccato in oro. Mi piace avere un rapporto aperto con i miei referenti, ma sono pur sempre il Sultano, quando si lavora sono irremovibile e anche un po’ bastardo, non posso e non voglio farci niente. Pensate ad Artù: non aveva capito un cazzo e Ginevra se l’è fatta con Lancillotto, capite adesso perché ho voluto nella sala riunioni del mio palazzo un cavolo di tavolo ovale, invece della “tavola rotonda”? La storia insegna. Impariamo, per piacere.

«Questo è il rapporto mensile dell’Harem. Mestruazioni puntuali come orologi svizzeri.»

Stringo i pugni e serro la mascella. Sollevo il mio sguardo artico sulla mia spina nel fianco, la responsabile delle mie mogli. Il suo tono di rimprovero è lo stesso, mese dopo mese e ogni volta devo congelarla con gli occhi, anche se la mia prima reazione sarebbe buttarla nella gabbia dei miei leoni dopo averli tenuti a digiuno una settimana.

Alla fine della riunione congedo tutti con un generico “Adesso fuori dai coglioni”. Sono schietto, diretto. O sei dentro o sei fuori con me e i leccaculo non li voglio di certo tra i piedi. L’unico che rimane è il Gran Visir, seduto alla mia destra con gli occhi chini su dei fogli, ma non li sta leggendo… vedo distintamente il suo sorriso malandrino e gli occhi scintillanti di divertimento. Siamo fratelli, ma soprattutto migliori amici. Può permettersi più libertà di altri, se siamo da soli. Quando si chiude la porta a doppio battente, solleva la testa e infatti…

«Hai intenzione di continuare ancora a fare retromarcia?»

Incrocio le braccia sul petto e aggrotto le sopracciglia.

«Da quel che mi risulta tu ti occupi delle mie leggi, non della mia vita sessuale.»

«Ascolta bello, Sultano Senior, dalle Cayman, tra una buca e un’altra del nostro campo da golf mi chiama ogni tre per due. Vuole un nipote, vuole diventare un nonno idiota che marcia a quattro zampe tra gli androni del palazzo con il sangue del suo sangue che gli pianta i talloni nelle lonze.»

Quell’immagine mi fa ridere fino alle lacrime, ma il mio Visir insiste.

«Devi trovarti “la favorita”, quella che ti fa battere il cuore e perdere la testa.»

Poggio quindi la mano sulla testa del mio fidato amico a quattro zampe, Socrate. L’unico di cui mi possa fidare ciecamente, l’unico che mi ama in tutte le mie sfaccettature, anche le più oscure. Mio fratello scuote la testa di rimando.

«Ok, proprio perché sei tu… ti farò anche da strizzacervelli. Fai retromarcia perché tu non vuoi figli dalle mogli che tuo padre ha scelto per te, ci giochi e basta.»

Il mio sorriso sghembo spunta di conseguenza, ma lui insiste allargando le braccia esasperato.

«Sei il sultano più ricco del mondo e hai la prestanza di un Bronzo di Riace!»

Chiudo gli occhi di scatto e inspiro allargando le narici. Ho sempre odiato che la gente continui a vedere solo la mia parte esteriore. È solo un cazzo di involucro, fino a prova contraria conta l’anima. «Vado in palestra poi a pranzo» sibilo infastidito. Il Visir si alza e mi segue, ma io mi volto a guardarlo. «Solo, non aggiungo altro» specifico glaciale. Socrate mi segue lesto.                11124177_10207208187594128_926558985_n

Sparo i Nirvana a tutto volume e porto il mio corpo al limite per sfogare la mia frustrazione, ma devo dire che la pulce che il mio braccio destro ha insinuato nella mia mente è qui che mi frulla nelle orecchie. Ho un Harem invidiabile, sia come bellezze che come lignaggio, eppure… nessuna mi fa vibrare dentro. Con me sono tutte brave, composte, servizievoli. Troppo. E la maggior parte di loro vive in perenne competizione e per non farle accecare vicendevolmente per l’invidia devo domarle a turno nella mia stanza dei giochi, tenendo ritmi serrati. «Non concepirò mai un figlio con una di loro. Mai» sentenzio a me stesso, ma mentre mi rivesto, involontariamente, sfioro la mia lampada magica. Il genio azzurro compare di fronte a me con un sorriso beffardo. «Giornataccia eh, Dom?» esordisce.

Lo fulmino. Mi manca solo lui a farmi saltare i nervi già provati. «Non cominciare con Dom-Signore-Padrone o il terzo desiderio lo uso per far diventare il volley il gioco di squadra più seguito del mondo.»

Il suo colorito passa dal turchese al celeste sbiadito, ma lo smarrimento dura poco. «Devi ancora esprimere il secondo, Capo. Figo e ricco lo eri già, ti ho fatto diventare un mago del sesso, come desideravi, ma ti serve l’amore e sai che io quello non posso dartelo.»

«Per finire con i polsi inguainati e il collare come te? No, grazie. E poi ero già bravo!» specifico risentito che si metta in dubbio la mia innata abilità amatoria. Fissa i suoi occhi nei miei e fa un sospiro dispiaciuto.

«Con l’arma del potere che ti ho messo tra le gambe e il mio kamasutra “geniale” a disposizione hai uno stuolo di donne ai tuoi piedi, ma…» fa una lunga pausa di riflessione. «Potresti chiedermi di renderti felice, però.» Sussulto. Trasmetto davvero questo a coloro che mi stanno vicino? Si vede così tanto che il mio famoso involucro, dentro, è vuoto come una caverna oscura?

«E allora rendimi felice, se puoi» capitolo. «Sarà fatto» sentenzia schioccando le dita. Ci osserviamo in silenzio. Io aspetto che qualcosa accada e invece nulla. «Quindi?» domando irato.

«Abbello, sono un genio, mica faccio miracoli! La tua garanzia soddisfatto o rimborsato scocca dopo le 24 ore.» Urlo di rabbia. «Ti tengo per le palle con il terzo desiderio, ricordalo.»

«C’è il nuovo chef, Sultano» mi dice Mohammed, il mio servitore personale, presentandosi con il mio pranzo su un vassoio nell’enorme salone da pranzo. Solleva la boule d’argento che copre il mio pasto e sbianca.

«Ma porca…» impreco lanciando saette. «Funghi? No, dico, funghi?!?!» sto urlando un’altra volta come un pazzo isterico. Socrate ripiega mesto, uscendo nel giardino di fianco alla sala.

«Va-vado subito a farlo rifare» balbetta il servitore contrito. «Non capisco come sia potuto succedere, sono certo di avergli dato la lista delle vostre preferenze e della vostra dieta.» «Si chiama regime alimentare, Mohammed. Non dieta. Io non faccio una cazzo di dieta» tuono sempre più irato. Lo congedo con la mano e mi prendo la testa tra le mani. Appena sollevo gli occhi, mio fratello mi guarda divertito a qualche metro di distanza.

«Hai bisogno della “favorita”» insiste. Sbuffo e impreco ancora. «E trovami questa femme fatal allora!» sbotto. «Ti ho trovato un gioiellino, ma attento… questa azzanna alla giugulare» mi avverte. “Le mononeuroniche incazzose sono le peggio” gemo nella mia mente, ma sono felice di dare un’altra gatta da pelare alla mia spina nel fianco zitella che è la responsabile dell’Harem. «Falla entrare» gli ordino. Socrate sente aria di visite e si piazza al mio fianco, curioso. Vedo prima un piede sinuoso e leggero varcare la porta della sala e, man mano che lo sguardo sale, il mio cuore accelera e la respirazione si accorcia. Fino a mancare del tutto quando incontro due occhi profondi in cui leggo una determinazione e una dolcezza che li fanno sembrare liquidi, fluidi, come il cioccolato. “Puttana ladra!” urlo in silenzio. Lei avanza nella stanza sostenendo il mio sguardo per tutto il tempo. Siamo incatenati, uniti in una conversazione silenziosa. Spalanco la bocca per la sorpresa appena Socrate si alza, le va incontro e si struscia alle sue cosce sode, alla sommità delle quali intravedo un sedere che merita di sicuro qualche attenzione da parte mia. “Giù. Le. Zampe, amico mio” intimo nella mia mente al mio cane. Invidioso che già lui possa toccarla.

«Sultano, le presento Jasmine» fa gli onori il mio Visir. Lei si atteggia in un inchino che, denoto, le costa un bel po’ di fatica fare. “Orgogliosa e non si piega di buon grado. Ci sarà da divertirsi” mormoro sardonico nella mia testa. Non voglio però dare ancora niente per scontato. Anche se il mio fiuto mente poche volte decido di fare la domanda cruciale. «Ci sarebbe qualcosa che desideri avere, vista la tua ufficiale permanenza a palazzo?» Lei non esita un attimo.

«Una biblioteca e un lettore digitale.» “Ari-porchissima-puttana-ladra!” deflagro nella mia mente come una supernova. Se le piace leggere deve averne per lo meno due di neuroni.

«Jasmine avrebbe però una richiesta personale, Sultano» mi avvisa mio fratello. «Sarebbe?» domando cercando di domare l’incendio che ha provocato quella donna all’interno del mio corpo. “Niente American Express Platinum? Nessun conto aperto da Tiffany? Impossibile!” «Lei ha…» inizia lui, ma non finisce.

«So. Parlare» scandisce bene lei, per niente intimorita dalla situazione, ma soprattutto dall’aver interrotto un alto funzionario dello stato di fronte a me. Il Visir non si risente, anzi. Sorride. “Cosa diavolo ridi? Ti ha appena fatto fare la figura del coglione!” vorrei urlargli. «Ho un animale da compagnia. Vorrei averlo con me» mi annuncia lei. Una voce decisa e soave al tempo stesso. Annuisco e mi manca il fiato, quando le si apre un sorriso talmente bello e sincero da poter illuminare tutta la mia cazzo di città ultratecnologica. Scombussolato faccio cenno a entrambi di andarsene. “Niente guinzagli. Niente guinzagli” mi ripeto come un mantra.

Su di giri come non mi era mai capitato, trascorro la mia giornata sperando solo di arrivare presto a sera per “iniziare” la mia nuova moglie nella mia stanza dei giochi. Il suo portamento, il suo sguardo, tutto in lei urlava sensualità, femminilità, ma anche un carattere deciso che difficilmente si piega al volere di altri. Entro nell’ala del palazzo completamente riservata alle mie mogli, ognuna ha il proprio appartamento e le sale comuni sono immense. Sono l’unico uomo ammesso lì dentro. Vi ricordate la storia di Lancillotto, vero? Ecco…

«La stanza è pronta, vado a chiamarle la nuova arrivata, Sultano?» mi domanda la mia acida spina nel fianco. “A lei dovrei trovare un gigolò… forse la situazione migliorerebbe” penso “oppure concederle la visita di qualche prestante guardiano.” «No, vado io a chiamarla» le rispondo spiazzandola. Lei e le altre mogli che sono arrivare in massa, attirate da me come api sul miele, strabuzzano gli occhi incredule. Le sorpasso senza dare spiegazioni. Non gliele devo e non voglio dargliele. Ho solo voglia di cogliere Jasmine alla sprovvista, di sguazzare in quel cioccolato fuso che sono i suoi occhi. Socrate si siede al mio fianco, in attesa, mentre busso alla porta laccata dell’appartamento assegnatole.

«È arrivata la mia ora?» domanda sarcastica aprendo la porta. Rimane sorpresa di vedere me, invece della zitella acida, glielo leggo negli occhi, ma maschera il tutto in maniera eccelsa.

«Buonasera, Jasmine, posso entrare?» le chiedo beffardo con il mio sorriso sghembo, la voce più bassa, quasi roca. Lei solleva un sopracciglio.

«Posso forse dire di no?» Sorrido di fronte alla sua audacia e un brivido mi percorre la schiena.

«Direi di no.» Entro, ma Socrate esita. Solo quando fischio con decisione, mi segue. “Strano… Molto strano.” Sul sofà poggio copricapo e fusciacca. Lei si sposta sul grande terrazzo con vista sul Golfo Persico. La seguo, il mio cane al mio fianco, appiccicato alla mia gamba come una mosca sulla carta moschicida. Ignoro il mio amico fidato e seguo le curve sinuose nella mia nuova moglie. La vestaglia di seta le seguono seducentemente e il tessuto brilla alla luce lunare. Si volta percependo la mia vicinanza. Il profumo afrodisiaco della sua pelle mi sale nelle narici, i capelli morbidi mi sfiorano la mano che non mi ero neppure accorto di aver sollevato per toccarli.

«Io non sono come le altre» mi avverte. Un tono sommesso e minaccioso che mi eccita e mi pervade di una curiosa aspettativa mai provata.

«E come saresti?» le domando avvicinandomi ancora. Morendo solo dalla voglia di perdermi in lei. Perché fino a quello ci sono arrivato: in lei mi perderò.

«Io non sono l’equivalente femminile del tuo Socrate su due zampe» mi precisa senza esitare. «Anzi vorrei che facesse amicizia con la mia Rajah.»

«Se è un coniglio lo mangia; se è un cane lo sbrana; se ha una vulva ci prova» la avverto ironico. «Forse è meglio mettergli il guinzaglio.» Quando io muoio dalla voglia di metterlo solo a lei. Vederla perdere la ragione sotto di me mentre la strattono e inarca la schiena, accogliendomi.

«Tale cane… tale padrone, quindi» replica lei altrettanto sarcastica lanciando un’occhiata alla patta dei miei pantaloni larghi. Piega quella bocca rosea, carnosa e perfetta che vorrei mangiare e schiocca la lingua un paio di volte. Socrate emette un guaito, infila la coda tra le zampe e tremante si rifugia dietro di me. Io, incredulo, lo osservo, ma l’arrivo di passi pesanti e cadenzati mi fa voltare verso l’entrata. Una tigre, maestosa, superba, luccicante si avvicina. Sfoggia con grazia un collare nero con dei brillanti grossi quanto confetti. Jasmine le va incontro e l’abbraccia. La bestia comincia a fare le fusa come un gattino. Spalanco la bocca.

«Chi mangia chi, Sultano? Rajah ha la vulva, ma può avvertire Socrate che l’ultima cosa che gli conviene fare è provare ad annusarla.»

«Chi l’ha domata?» Lei mi sorride, beffarda, consapevole di aver fatto breccia. «Vuole davvero saperlo, Sultano?» “Voglio saperlo? Quello stronzo di mio fratello non scherzava quando diceva che mi sarebbe saltata alla giugulare!” La sfido.

«Tale tigre, tale padrona?» Diventa seria, imprigiona i miei occhi ai suoi e io vacillo. Si avvicina ancheggiando alla mia figura e si alza sulle punte dei piedi. Sfiora la sua bocca sulla mia. Umida, morbida, voluttuosa come i pensieri lussuriosi che ci stanno vorticando per la testa. La incollo al mio corpo con un abbraccio possessivo, mi insinuo nella sua bocca, affondando la lingua in un bacio profondo. I nostri sapori si confondono, la ragione si offusca in quell’oblio che trasforma le membra in una massa incoerente.

«Lascia che domi la bestia che è in te, lascia che ti renda felice» mi sussurra decisa. «Minchia!» mi sfugge a denti stretti per il significato di quelle parole. La sua bocca si tira in un sorriso e gli occhi fiammeggiano di passione mentre si struscia maliziosamente a me. «Direi che è una parola corretta…» Con movimenti lenti, misurati, sfila dalla tasca un collare identico a quello di Rajah. Annuisco impercettibilmente alla muta richiesta che mi pone con lo sguardo e si accinge a chiuderlo attorno al mio collo. 11657482_10207208211914736_1848359722_n«Non ti pentirai. Non ti pentirai di niente da ora in poi.» Tira il guinzaglio facendomi abbassare di fronte a lei. «E adesso mi veneri, come non hai mai fatti prima.»

Una nuova sensazione si fa largo dentro di me. È forse la felicità quella che mi fa battere il cuore e mi fa perdere il senso del tempo e dello spazio? Di una cosa sono sicuro ingranerò la prima e cercherò solo parcheggi a lisca di pesce, perché la retromarcia, con lei, non è nemmeno più da tenere in considerazione.

«Frustalo, Jasmine! Sferzate decise per quel borioso arrogante! Anche da parte mia!» Lo sentite? È quella nuvoletta infida del mio Genio… “Fanculo al lui e alla mia mania di contrattazione del tre per due! Niente formula soddisfatti e rimborsati e ora mi tocca pure liberarlo.”

Charlotte Lays