Un battito di ciglia

e il tuo cuore perde un rintocco.

Possiede occhi neri come la notte,

capaci di ammaliare,

sedurre

e trascinarti nell’Eden.

Il suo corpo tonico sembrava scolpito nel marmo, fatto per essere accarezzato, ammirato e dipinto.

Quando la giovane Geneviève aveva accettato quel lavoro non aveva la minima idea che l’uomo che avrebbe dovuto ritrarre le avrebbe tolto il respiro.

Aveva dipinto su tela decine di corpi nudi, e non era mai stata vittima del pudore, eppure la linea morbida della schiena del sultano, che curvava dolcemente dando vita a un armonioso fondoschiena, le faceva tremare le mani. I capelli neri e folti, gli scendevano come una cascata sui muscoli tesi e lei, in balia di onde impetuose, sognava di tirarli, con forza, mentre veniva posseduta dall’uomo più bello che avesse mai visto.

Per fortuna era di spalle, altrimenti sarebbe stato difficile contenersi. Ogni volta che lui la guardava, arrossiva. E lui non nascondeva il suo sesso, in quella stanza, a meno che non dovesse entrare un suo sottoposto. A Geneviève era caduto il pennello quando aveva visto quanto fosse dotato, e non le era sfuggita la piega sottile delle labbra del sultano, quasi si compiacesse delle sue doti.

Una delle ancelle entrò portando del sidro. Il sultano le sorrise, concedendole un bacio sfuggente dalle sue morbide labbra. La giovane gli versò il liquido ambrato e attese che l’uomo si dissetasse, per poi congedarsi.

«Voi non bevete?» chiese a Geneviève, dandole le spalle, una volta che furono di nuovo soli. Era raro che le parlasse. Nelle ultime due settimane le aveva rivolto la parola solo sei volte. E lei come una stupida adolescente, vittima degli ormoni, aveva rallentato il lavoro, con la scusa che il quadro non reggesse il confronto con il soggetto, pur di stare ancora vicino a lui.

Faceva caldo, Geneviève aveva sete, ma quando era al cospetto del ghāzī, così lo chiamavano le sue tante donne, non era più padrona né del suo corpo e tantomeno della sua mente. Non conosceva nemmeno il suo vero nome, ma sapeva che quel titolo veniva dato ai valorosi. E il fisico possente, non senza qualche cicatrice che lo rendevano solo più affascinante, dimostrava quanto fosse combattente.

«Non bevo mai mentre lavoro» gli disse con un filo di voce.

«Allora farete una pausa e mi compiacerete assaggiando il mio sidro».  Geneviève si sentì mancare. La sola idea di avvicinarsi la metteva a disagio.

«Muovetevi» le ordinò, «non mi piace pregare le donne… né vederle morire di sete al mio cospetto». Girò leggermente il volto, per richiamarla anche con lo sguardo, senza però lasciare la posa per il quadro.

Geneviève si fece avanti, le gambe le tremavano. A meno di un metro notò una gocciolina di sudore scendere sulla pelle ambrata del ghāzī, e la seguì fino a quando la vide scomparire tra le natiche marmoree.

Le scappò un sospiro. Si sentì sopraffare dal piacere, da lussuriose immagini di lei, mentre veniva posseduta con forza.

«La nostra amabile pittrice ha bisogno di bagnarsi le labbra» le sussurrò. Occhi color ambra la stavano fissando impunemente. Le stava porgendo un bicchiere, ma il suo cervello era andato in tilt. Sentì le guance diventare rosse, e un calore invaderle il ventre.

Perse i sensi, e il ghāzī mollò la posa per prenderla fra le braccia e sorreggerla.

Quando Geneviève riaprì gli occhi era a pochi centimetri dal viso del sultano. Il cuore iniziò a batterle così forte nel petto che ebbe paura che anche lui potesse sentirlo.

«Avete gli occhi illuminati dal cielo» le disse.

«S-sono solo azzurri» balbettò lei.

«Sono molto di più» continuò lui, tenendola ancora fra le braccia.

Mai Geneviève aveva sentito braccia così forti e muscolose. Il profumo muschiato dell’olio che le ancelle avevano spalmato sul corpo nudo del loro padrone prima di mettersi in posa per farsi ritrarre le penetrò le narici. Deglutì, sentendosi piccola e fragile. Quell’uomo le aveva rapito il cuore, annebbiato la mente. La linea volitiva della mascella, la pelle morbida e quelle labbra che le gridavano di baciarlo, erano inezie in confronto a quegli occhi magnetici, in cui si perse.

«I-io non voglio essere una fra tante» gli disse. Lui strinse la presa.

Davvero aveva detto quella frase? Possibile fosse stata così stupida? Chi era lei, e come poteva illudersi che un uomo così la desiderasse? Era circondato da dee della bellezza, e lei si era sempre sentita così normale, anonima.

Si aspettò una risposta secca, del tipo: ma chi ti vuole!, invece le sorrise. Le ginocchia cedettero, ma tanto c’era lui a sorreggerla.

«Il suo viso si illumina mentre dipinge sulla tela» le sussurrò, «è come se lei stesse facendo l’amore con chi sta dipingendo». Le stava dando ancora del lei, eppure erano stretti uno nell’altro, le labbra quasi si sfioravano, e il mondo intorno a loro sembrava essersi fermato.

«Con te…» mormorò Geneviève. Si morse le labbra, non si capacitava di quanto fosse stata sfrontata.

«Con me» ribatté il sultano e si avvicinò per rubarle un bacio. La mano che le teneva la schiena discese lenta ma pressante verso il basso. Si insinuò fra le natiche e la sollevò da terra. Un attimo dopo si ritrovò fra i cuscini di raso che erano stati allestiti per arricchire la scena e non le importò se quel momento sarebbe stato solo un attimo fugace, lo voleva dentro di lei, a costo di perdere il lavoro, dimostrando poca serietà, a costo di passare per una delle tante donne che lo corteggiavano.

Le mani esperte del ghāzī la spogliarono. La sfiorò in mezzo alle grandi labbra e la penetrò. Le tappò la bocca mentre la possedeva, impedendole di urlare. Colpi vigorosi le fecero perdere i sensi, la schiena si inarcò per accoglierlo. Tutto intorno a lei aveva perso consistenza, mentre un’onda di piacere arrivò impetuosa, e poi sentì il sultano sussurrare delle frasi, la voce strozzata dall’orgasmo.

«Sarai una delle spezie preziose che danno sapore alla mia vita?» le domandò sdraiandosi accanto a lei. La fissò anelando una risposta.

«Sì» gli rispose senza nemmeno pensarci. Un uomo così poteva avere mille donne, ma per come la guardava aveva il dono di farla sentire speciale!

A.B.