Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
House of Shadows

Titolo: La regina d’inverno
Autore: Nicola Cornick
Prezzo: 14,90 €
Editore: Harper Collins

TRAMA
Londra, 1662. Sul letto di morte, Elisabetta Stuart, Regina di Boemia, detta anche Regina d’Inverno, dona all’amato William Craven una perla di inestimabile valore, pregandolo di nasconderla. Ha un’ultima richiesta per lui: distruggere uno specchio in vetro di Murano, le cui delicate fattezze nascondono presagi di morte. Ashdown, Oxfordshire, ai giorni nostri. Ben Ansell sta studiando l’albero genealogico della sua famiglia, quando scompare misteriosamente. Appena avvisata della sua sparizione, Holly, sorella di Ben, comincia le ricerche dall’ultimo luogo dove è stato visto il fratello, e cioè la secolare casa di campagna degli Ansell, confinante con la proprietà ormai in rovina di Ashdown House. Ma qui la ragazza scopre molto più di quanto avrebbe mai immaginato: prima riceve in dono da un antiquario che avrebbe dovuto incontrarsi con Ben un misterioso specchio antico, poi ritrova il diario di Lavinia Flyte, una cortigiana che agli inizi del XIX secolo aveva abitato ad Ashdown House, appena prima che la magione venisse rasa al suolo da un pauroso incendio. E infine viene a conoscenza della leggendaria perla collegata alla Regina d’Inverno e misteriosamente scomparsa. Sempre più incuriosita e determinata, Holly comprende che l’unica speranza di ritrovare il fratello è scoprire i segreti che ancora si nascondono ad Ashdown House.

Commento di Mirto
La regina d’inverno è un romanzo storico, contemporaneo e paranormal, costruito su tre piani temporali differenti. In ognuno, viviamo tre storie d’amore legate l’una all’altra da vincoli di sangue – e non solo – fino a sfociare nella rivelazione finale che, pur non sorprendendo il lettore, giunge comunque gradita.
Il piano temporale più antico (XVII secolo) apre il romanzo con un capitolo d’intensa bellezza, sia estetica sia emotiva. Sin dalle prime battute conosciamo la regina Elisabetta di Boemia e quello che sembrerebbe essere un favorito caduto in disgrazia, Lord William Craven. Scopriremo più avanti quale legame li unisca e anche quale rancore li abbia divisi. Ora, mentre Elisabetta giace sul letto di morte, assistiamo a un momento fondamentale, per la trama: la consegna a William di due oggetti apparentemente innocui, eppure intrisi di un potere mortale: la pietra Sistrin e lo Specchio che mostra il futuro.
Due oggetti splendidi, ma letali.
Due oggetti che tutti vogliono – Re, nobili e gli ultimi soldati Rosacrociani – e che si circondano di morte.
E uccidono con l’acqua e con il fuoco.
Il secondo piano temporale ci sbalza nel presente, dove conosciamo Holly Ansell, un’artigiana del vetro, e Bonnie, il suo adorabile cane – da lei chiamato affettuosamente Bon Bon. Holly viene svegliata nel cuore della notte dalla telefonata di sua nipote Florence, preoccupata per la scomparsa del padre Ben. Inquieta, Holly raggiunge la bambina nella residenza estiva della famiglia Ansell, e attende invano che Ben ritorni. Dopo poco tempo, rimasta sola, decide di stabilirsi in paese.
Qualcosa la trattiene in quel posto. Visioni, che non sono sogni, la trasportano indietro nel tempo, e davanti ai suoi occhi prendono forma strade insistenti e nelle sue orecchie sussurrano voci evocate dalle pieghe del tempo. Poi Holly vede qualcosa, e anche il lettore capisce…
Assieme a Mark, un affascinante costruttore edile del posto, Holly avvia la sua ricerca personale del fratello. A dispetto delle sue abitudini, Ben stava scavando nel passato della loro famiglia, e aveva scoperto il diario originale di una cortigiana, Lavinia Flyte. Incuriosita, Holly inizia a leggere ed è proprio attraverso le pagine di questo diario che sprofondiamo nel terzo piano temporale.
Siamo nel 1800, nella tenuta estiva di Lord Evershot, un nobile violento e geloso che sottopone la sua mantenuta ad abusi e torture. Lavinia, giovane e opportunista, accetta ogni sopruso in cambio di soldi e di gioielli. Anche quando s’innamora del giovane Robert, uno studioso squattrinato, rifiuta di fuggire per amore e preferisce restare fra gli agi, ad Ashdown House. Leggendo alcuni commenti al testo originale ho scoperto che diversi lettori amano Lavinia e anche Holly afferma di esserne affezionata. Ma io, care haremine, l’ho odiata. Profondamente. Ho provato per lei un ribrezzo che ancora adesso mi scorre sottopelle, se ripenso alle sue parole. Come posso apprezzare una cortigiana che scrive:

Oh, se solo le cose fossero diverse! Ma ahimè, Robert potrebbe permettersi a stento di mantenermi, sono molto costosa, e non gli gioverebbe in alcun modo sposarmi. La sua carriera sarebbe segnata, il suo buon nome rovinato. Non c’è via di uscita da questa situazione. Sono tanto infelice che potrei piangere, cosa che faccio di rado dal momento che è disastroso per la carnagione.
(Capitolo 27)

Ragazza, sei molto costosa? Abbassi le tue pretese e, se sei onesta, te ne vai con l’uomo che ami. Ma se rimani con un uomo violento in cambio di una vita agiata, allora… ti meriti appieno il titolo della tua professione. Altro che amarti!
Per mestiere e scelta narrativa, Lavinia assomiglia un po’ a Violetta di La Traviata, ispirata a sua volta alla Margherita de La Signora delle Camelie. Ma è molto più debole e frivola. Nell’opera lirica, Violetta è coerente con il proprio cuore e lascia una vita lussuosa per vivere più modestamente con il suo innamorato. Qui, Lavinia trova il coraggio di scappare solo più avanti, dopo aver derubato Lord Evershot – un gesto che mi ha riportato alla mente la Manon Lescaut di Puccini – dei famosi oggetti maledetti, per consegnarli al legittimo proprietario – il suo Robert. Purtroppo, Lavinia si scuote troppo tardi. Sorpresa con i gioielli e pronta alla fuga, può fare una sola cosa. Vendicarsi. E la vendetta arriverà proprio grazie ai poteri distruttivi dello Specchio – no, non vi dico come. In questa scena ho apprezzato il suo temperamento, peccato che si fosse già disintegrata, ai miei occhi, per soddisfare il suo bieco opportunismo. Se solo non avesse scritto quella frase…!
Come ho già raccontato all’inizio, l’epilogo non sorprende, ma giunge con piacere. Come una cascata fresca in un giorno di arsura.

Sentiva il profumo della sua pelle, la fragranza leggera dell’aria fresca. Era freddo al tocco. Lo tirò dentro, chiuse la porta e si protese verso di lui per baciarlo. Dopo un secondo lui rispose e Holly sentì un desiderio intenso, insieme con un sollievo tale che fremette. Solitudine e paura svanirono.
Lo baciò di nuovo, cancellando i pensieri, perdendosi nelle sensazioni, arretrando solo per poterlo condurre verso le scale. Sentiva la sua presenza dietro di lei, vicino come un respiro. Lo teneva ancora per mano. Il sole del tardo pomeriggio si riversava all’interno della grande finestra della camera da letto, le colline si estendevano di fronte a loro. Mark osservava il suo viso.
«Holly, cosa c’è?»
Sentì il suo alito sfiorarle la pelle. Riusciva a vedere l’ombra delle sue ciglia, puntute sulla linea dura della guancia. Le labbra di lui le sfiorarono la mandibola e lei sentì di nuovo un moto di desiderio feroce. Voltò la testa e all’improvviso la bocca di Mark fu ancora sulla sua, una mano tra i capelli, l’altra in fondo alla schiena. Le sensazioni avvamparono. La mano di Mark sfiorò il cotone sottile della maglietta, il palmo sopra il seno. Continuò a baciarla con urgenza incredibile. Lei non aveva mai immaginato che potesse essere così e si sentì ferocemente felice, felice di non essere più sola, felice di poter dimenticare per un poco. Lo tirò sul letto accanto a sé e si perse in lui.

Il romanzo è scritto abbastanza bene. Le parti storiche sono le migliori, mentre capita che il tono di quelle contemporanee diventi sterile, quasi sciatto. Le scelte verbali, non so se dell’autrice o del traduttore, diventano discutibili; le scene sono costruite con scarso pathos. Non sempre, ribadisco – la parte che ho selezionato per voi, qui sopra, è piacevole. Lo stacco diventa ancor più sensibile quando si passa dal piano temporale del XVII secolo al tempo attuale. Va bene scrivere in modo diverso, in armonia con le espressioni attuali, ma la poesia e l’eleganza sopravvivono ancor oggi, e mi piacerebbe che durassero in eterno.

Frasi così, scritte con un linguaggio tanto arido e tecnico, proprio non mi conquistano:

Con uno sforzo interruppe il contatto visivo e recise la connessione invisibile tra loro. Abbassò lo sguardo sullo spartito, pur conoscendo il brano a memoria.

Sono termini adatti a un romanzo di fantascienza, non a un romanzo di narrativa generale.

Un’altra cosa che segnalo, sono le scene descritte talvolta in modo bizzarro. Esempio:

«Sono al mulino.» Florence piangeva. «Papà se n’è andato da ore e non so dov’è. Zia Holly, ho paura! Per favore, vieni…» La linea crepitò, le parole si spezzarono.
«Flo!» ripeté Holly con tono urgente. «Flo…» Ma udì soltanto il fruscio e il sibilo della linea, poi un lungo silenzio vuoto.
«Sei pazza?»
Guy era emerso dalla stanza degli ospiti due minuti prima, con indosso soltanto i boxer stropicciati, gli occhi assonnati, i capelli ritti sulla testa come aculei di cattivo umore.
«Non puoi precipitarti nel Wiltshire a quest’ora di notte» disse. «È un’idea maledettamente stupida.»
«Oxfordshire» ribatté Holly in automatico. Controllò l’orologio mentre si infilava gli stivali. La lampo si bloccò e la strattonò con forza. Le due e ventisette, aveva già sprecato dieci minuti.

Se capisco bene, è notte, Holly è al telefono con la nipote e non appena riattacca, la prima cosa che fa è indossare gli stivali. Gli stivali? Prima non si veste? Hanno abitudini strane, in Inghilterra…
Più avanti, Holly entra nel mulino, vede la nipote seduta sul divano con una poliziotta e si ferma a parlare con un’altra investigatrice. Il soggiorno è lungo e forse la bambina è anche stanca, ma è possibile che Florence non si accorga di sua zia prima della fine di un lungo dialogo?

Holly vide Florence alzare lo sguardo dal libro di fiabe. Gli occhi di sua nipote si illuminarono vedendole e la bambina balzò giù dal divano.
«Zia Holly!» Florence corse verso di lei tendendole le braccia. «Sei venuta!» Holly la sollevò subito tra le braccia, sentendo la morbidezza della guancia di Florence premuta contro la sua, inalando il profumo di sapone e shampoo.

Sei venuta… è da tre pagine che è arrivata!
Ci sono poi piccole inesattezze del pdv, altre frasi poco musicali e talvolta gli oggetti cambiano natura a distanza di poche righe – ad esempio, un tablet che diventa un laptop. Ancora, segnalo qualche termine errato:

«Proviamo qualcos’altro» disse David con tono irritabile, quando…

Il tono non è irritabile, semmai è irritato.

Questa parte è orribile e illogica:

Le note si attorcigliarono, intrecciandosi. Mark poteva avere una voce straordinaria quando cantava da solo, ma era anche capace di fondersi con il resto del coro quando era necessario, Holly lo guardò di nuovo e, con un curioso sussulto del cuore, si accorse che anche lui la stava guardando.

Non merita commenti.

Questi sono alcuni esempi. Non ve li segnalo per fare la carogna, ma per incoraggiarvi a non accettare passivamente gli strafalcioni che, sempre più spesso, costellano le pagine dei romanzi – forse qualcuno pensa che tanto i lettori non se ne accorgano… 😉

I personaggi sono quasi tutti abbastanza chiari e approfonditi. Non ho trovato molto coerente il comportamento di Margaret, l’amante di William, che, quando scopre di essere incinta dell’uomo che sembrerebbe amare sopra ogni cosa, pretende di vendere lo Specchio per ritornare dal marito; in quella scena, il suo tono cambia, diventa cinico. Non è più la stessa Margaret che il lettore ha imparato a conoscere, nelle pagine precedenti. Inoltre, avrei voluto conoscere qualcosa di più su Mark. L’autrice non ci rivela molto, di lui, e un po’ mi è dispiaciuto. Di sua sorella Flick, invece, di cui poco mi è importato fino alla fine, sappiamo anche fin troppo. Il suo ruolo sul finale, inoltre, mi è sembrato posticcio e scontato.

Conclusione.
La regina d’inverno è un buon romanzo, e sono contenta di averlo letto per voi. Anzi, forse prenderò anche qualche altro lavoro della stessa autrice. Anche se non mi ha regalato forti emozioni, nel complesso l’ho trovato piacevole e scorrevole, e l’ho letto volentieri. Consigliato a chi ama non soltanto l’amore, ma anche un pizzico di avventura e di magia.

VALUTAZIONE 3 stelle e mezzo, quasi quattro!

Mirto