Titolo: Leggero come il cielo
Autore: C.K. Harp
Illustrazioni e copertina: Michela Cacciatore
Genere: romanzo, narrativa contemporanea
Esistono dee invincibili di un mondo “ideale”, divinità a cui immolare la propria vita, i propri chili e le speranze di essere e sparire nello stesso istante. Queste dee sono Ana e Mia, ovvero Anoressia e Bulimia, voci guida di una depressione latente che sormonta, avvolge e alla fine soffoca.
Dopo la morte di suo fratello, e la scoperta di un sentimento che non avrebbe mai voluto provare per il migliore amico, Marco si immerge senza neanche pensarci nella bolla ovattata che è il mondo di Ana. Insensibile al resto del mondo, si lascia trasportare da un vortice di bilance, chat motivazionali e privazioni fisiche oltre il limite dell’ossessione. Dimenticando ogni problema che non sia il cibo.
Ma Riccardo, proprio quel migliore amico, non è pronto a vederlo spegnersi fino a diventare niente. Neanche se questo vuol dire rinunciare a tutto. Neanche se i suoi sentimenti contrastanti lo stanno gettando nella confusione più nera.
Perché in fondo siamo solo anime di passaggio che vivono momenti di passaggio. Ed è meglio camminare insieme, che da soli. Ma come fai a renderti conto dell’aria che ti sfiora se tu stesso sei convinto di essere un alito di vento?
E se fossi io stesso, cielo? Se fossi leggero come una volta celeste che in realtà non esiste, ma è solo lo specchio di ciò che si percepisce a contatto con la luce del sole?
Da inconsistente a leggero, lieve, senza zavorre, un anelito di libertà, senza vincoli. Senza peso.
Quale forza può sradicare dalle contingenze? quale fine ultimo?
Il vero peso specifico dell’anima è solo l’ amore. Amore per se stessi, innanzitutto. Indulgente, profondo, generoso.
Ne parlerò come di una storia d’amore, come di un viaggio interiore, non di “educazione sentimentale” né di formazione, semplicemente la storia di un ragazzo che conoscerà Amore.
Amore è più forte della Morte, più tenace dei suoi spettri.
Il tema centrale è solo il nodo del sistema narrativo, un nodo emotivo da sciogliere, un groviglio di stati d’animo che non sono solo simbolo di un concetto e di una idea, quanto piuttosto proiezioni tangibili ed evidenti di una situazione affettiva. Una matassa da dipanare come filo narrativo.
Sarebbe impietoso ridurlo a un romanzo “sul tema del disturbo alimentare”.
È una storia di fame d’amore, non è un trattato sulla visnorressia, per quanto ne sia impietosa, amorevole, denuncia.
È una storia di ragazzi smarriti, relitti alla deriva dell’adolescenza e dell’esasperato individualismo contemporaneo, resti fragili di famiglie disfunzionali. Terribilmente belli, incantevoli nella loro appassionata lotta per la felicità.
Marco.
Il fratello minore.
Un caleidoscopio di passioni a stento trattenute, soffocate dalla diffidenza, strano, asociale, “frocio-non-praticante” un bellissimo ectoplasma tra le mura domestiche che trasudano dolore e rimpianti. Una cavietta da tormentare a scuola tra scherno, curiosità e pettegolezzi malevoli
E se volassi lontano, dove nessuno può vedermi, dove neanche Ana sarebbe in grado di raggiungermi, mi sentirei libero?
Dolore. Bruciore. Emozione.
Fragile, speciale, una canna al vento
…come fai a renderti conto dell’aria che ti sfiora se tu stesso sei convinto di essere un alito di vento? E come fai a guardare la gente che si affanna a parlarti, se tu per primo parli con te stesso, vedendo il mondo come fossi un reduce da una guerra atomica?
Riccardo.
L’amico del fratellone.
Una brezza, improvvisa e forte, che porta tutti i profumi che risvegliano i sensi. Chiama alla vita, prepotente, oggetto di sospiri e fantasie.
Inconsapevole – o forse no – protagonista di un dramma. Protagonista suo malgrado di un dramma in più atti, in scena da molti anni.
Marco è solo, e se voglio che abbia una sua costante, seppur silenziosa e fantasma, devo andare avanti. Costante. Silenzioso. Sempre.
Una piuma e una folata di vento improvviso, come la vita che con un soffio scompagina le esistenze e si fa beffe dei nostri programmi.
Una danza improvvisa disperata e violenta che avvicina i due giovani, in un turbinio di emozioni, paure e incertezze, desideri e bisogni.
Più vicini, troppo vicini, stretti in un abbraccio improvviso e portati via da un mulinello di bugie, segreti, rimpianti e pregiudizi.
Dolore avanza lentamente nella consapevolezza.
Vergogna occupa gli spazi lasciati dai silenzi.
Rifiuto sbarra ogni speranza di risoluzione.
Disperazione chiama la solitudine.
…ha lasciato una marea di casini, alle sue spalle, e chi ne paga le conseguenze è Marco
I due giovani vivono in un cortocircuito innescato dalla presenza/assenza di un ragazzo che hanno amato e odiato, ancora figura ingombrante per gli irrisolti e gli strascichi lasciati nelle loro famiglie e nelle loro vite da studenti. A tal punto da eclissare Marco. Ombra inquieta che si aggira furtiva tra i fantasmi della sua casa e gli spettri della depressione. Perché il dolore spaventa. La solitudine inganna. Cancella. Marco si sente trasparente. E vuole scomparire, annullarsi, per farsi finalmente vedere. Per aver finalmente il controllo, per dominare i demoni che si agitano nella sua mente, sotto il comando e la voce suadente della dea An
Io sono la morte, anche se non voglio morire. Ma Ana è inesorabile e perfetta: lei non mi ascolta, lei va avanti. Mi possiede, mi avvince, e tutto di me le appartiene.
Un padre che non vede.
Una madre che non ascolta.
Un fratello che non tace.
Una amica che non si arrende.
Un amico che non può essere un amico.
Appoggio una mano sul vetro, quasi più caldo rispetto alla mia pelle, e mi lecco le labbra screpolate. C’è un uccellino sulla fontana in giardino. Un uccellino che apre e chiude le ali, che beve e si guarda intorno. Non ha pensieri, non ha costrizioni: lui ha solo istinto.
Il padre è solo un uomo, con le sue vulnerabilità.
La madre è solo una donna, con le sue debolezze.
Il fratello e solo un fantasma, rabbioso.
L’amica è una rivale, materna e pericolosa, poi un riferimento, seppur scomodo.
L’amico… è tutto. Non è amico ma è tutto.
Dolore. Emozione. Vita.
…il mio cuore adesso non può appartenere che a un fantasma, che ancora aleggia, che non mi molla un attimo. E che io amo, nonostante tutto.
Ho pensato che fosse lui il piccolo da salvare, ma io, accanto a lui, mi sento perso e ritrovato nello stesso istante, un’anima in balia di qualcosa che non conosco.
In un rapporto stretto tra tempo della storia, del racconto, quello narrativo e quello commentativo, Leggero come il cielo racconta il percorso di due ragazzi che cercano la felicità, perdonando se stessi, le brutture del mondo e l’indifferenza degli adulti. Le loro voci, con una focalizzazione multipla e intima – più che interna, oserei direi – riproducono una realtà eccezionale eppure comune alle giovani esistenze.
Con onestà l’autrice accarezza il mondo interiore di un animo sovraesposto, malato, in cui spicca la sensibilità parossistica. La prosa resta neutra, la scrittura lucida, senza retorica.
Parlano le emozioni, le montagne russe dei sentimenti post adolescenziali, tumultuosi, vividi, grazie alle quali si animano i personaggi.
Bello, spietato e tenero.
Un affresco dell’anima.
Quanto pesa l’anima?
Pondus meum amor meus.
Il peso dell’amore, di agostiniana memoria. L’anima ha l’amore che le dà consistenza, che la fa vibrare e volare.
Saffron