La forza di una donna e gli occhi di una bambina possono andare oltre l’orrore?
Nel 2014, riordinando le cose di famiglia, Anny Romand scopre un quaderno di Settanta pagine di cui non sapeva nulla. Scritto da sua nonna nel 1915 in Armeno, francese e greco, racconta il viaggio di un gruppo di donne e bambini armeni sulle strade dell’anatolia, verso il deserto e la morte. Nel libro vengono pubblicati alcuni estratti di quel quaderno, in parallelo con le conversazioni che l’autrice aveva con la nonna che l’ha cresciuta. Confrontando il ricordo di quelle conversazioni con le terribili descrizioni del quaderno, Anny Romand rivive l’infinito dolore degli armeni, filtrato attraverso gli occhi di una bambina. Innocenza di fronte all’orrore. «Quando avevo 8 anni mia nonna mi raccontava la sua storia, la storia tragica del massacro degli armeni, avvenuto cinquant’anni prima. Ero la sola ad ascoltarla, affascinata e sconvolta. Mia madre era molto contrariata quando ci trovava in lacrime, una nelle braccia dell’altra: la farai impazzire, questa bambina! …Ma dal racconto di mia nonna emerge va una giovane donna colta, bella, raffinata e libera. Vorrei condividere con voi quel racconto» (Anny Romand). prefazione di Dacia Maraini
Quando tutto sarà finito la gente leggerà il nostro dolore stampato nei libri seduta in poltrona ma un libro potrà mai descrivere sul serio l’insieme dei nostri dolori impossibile se ne parlerà nei salotti fino alla prossima novità e così le suppliche le voci dei poveri armeni si risolveranno come fumo di sigaretta e resterà soltanto cenere e solo la terra ci verrà in aiuto
Parla di una terra, parla di un popolo, parla di una famiglia. Di una donna e di una bambina.
La terra del nour, della melagrana, pomo proibito del paradiso, emblema di un popolo che sceglie un frutto austero all’esterno e meravigliosamente ricco all’interno. Chicchi rossi come sangue, 365 come i giorni dell’anno, tanti per ricordare l’abbondanza e la fertilità. Tanti come una manciata lanciata nel vento.
Come un popolo nella diaspora.
Armenia a cavallo del vento, come nelle fiabe struggenti di tradizione armena che iniziano con un “C’era e non c’era“, quella che in un’antologia imperdibile (A cavallo del vento. Fiabe d’Armenia) Sonya Orfalian considera la porta d’ingresso per “mondi lunari che appaiono durante i tempi del sonno“.
Una protagonista che corre, fugge, come i cavalli meravigliosi simboli di questa terra accarezzata dal vento. Austera e mozzafiato, grigia e verde, in cui ombra e luce si rincorrono in un movimento incessante tra distese sconfinate e panorami lunari.
Così in questo romanzo occhi innocenti correranno più volte al volto segnato dell’anziana che racconta quasi fosse uno degli “ashugh”, rapsodi itineranti della tradizione armena che tramandano l’immenso patrimonio culturale armeno, eredità preziosa di un popolo disperso e perseguitato. Occhi curiosi e attenti che sanno frugare tra i ricordi.
Nel 2014 Anny Romand trova nelle cianfrusaglie dei ricordi di famiglia un quadernino di settanta pagine, risalente al 1915 in armeno, francese e greco, in cui si racconta il viaggio di un gruppo di donne e bambini armeni sulle strade dell’Anatolia, verso il deserto e la morte.
Decide di andare oltre il sangue, oltre il dolore, per restituire al ricordo carne e respiro.
Nonna diventa eroe protagonista di una storia avvincente, simbolo di un tempo e di uno spazio, di una storia nella Storia in cui la vicenda del singolo diventa emblematica. 1883, inizia la storia di una famiglia borghese armena, in un porto turco sul Mar Nero dove una giovanissima e bellissima fanciulla segue il padre in Palestina; qui frequenta le scuole migliori ma ritornerà nella sua città natale a 15 anni per essere data in moglie ad un ricco commerciante di Trebisonda. Nella grande città portuale inizierà la sua vita di donna e madre ma subito conoscerà l’orrore del massacro del genocidio – dimenticato da tutti – degli Armeni, vera ferita nella storia del Novecento. Ferita che sanguina di un sangue rosso come il succo di melagrana, proprio perché lasciata nell’oblio negazionista e colpevole. Conosciamo la storia di una vita di dolore, di deportazione, di lutto, spesa tra le carovane della morte. È una vita da profuga, di disincanto e di abbandono, nella disperata ricerca di una possibilità di sopravvivenza, fino alle coste del Mar Nero, di latitanza ma anche di caparbietà e di speranza. È una lotta impossibile per riabbracciare un figlio. A ricordare un diario, memorie affidate a un piccolo quaderno che rimane nascosto destinatario delle emozioni e delle impressioni di una giovane donna, che cresce e diventa testimone e protagonista allo stesso tempo della storia
[…] Di fianco scorreva sempre il fiume, lunghissimo. In ogni momento pensavamo che ci avrebbero buttate dentro. Nel fiume avevano scaraventato due carretti pieni di bambini piccoli. Questa scena ce l’avrò sempre davanti agli occhi, non riesco a togliermela dalla mente e non penso che ci riuscirò mai. Vedendo i corpicini di quei piccoli in acqua, le braccia, le gambe che ancora si muovevano, sono rimasta completamente sconvolta, e ancor più quando ho visto quei mostri guardarli con un sorrisino sarcastico. Oh Dio mio, ti scongiuro lasciami vivere per vedere quegli infelici vendicati.
Annotazioni, confessioni e riflessioni, in francese e in armeno, affidate alle pagine per ripercorrere come in un viaggio nel tempo la sua storia. Sarà la sua nipotina a ritrovare questo manoscritto prezioso che diventa romanzo di una vita e un documento dal valore inestimabile, in cui rintracciare gli stralci di ricordi, le memorie personalissime delle chiacchierate fatte nell’infanzia. Sulle pagine del romanzo Mia nonna d’Armenia si alternano quindi alcuni estratti di quel quaderno con le conversazioni tra l’autrice e la nonna che l’ha cresciuta.
[…] L’umanità cerca ogni mezzo per ridare vita ai morti, mentre altrove migliaia di innocenti vengono calpestati da mostri. Invece di resuscitare i morti si dovrebbe assicurare ai vivi di restare in vita, anziché pensare ognuno solo alla propria.
Un racconto lucido e onesto che per la portata enorme ha potenza, grazie al messaggio di resistenza e di orgoglio, di dignità. Riesce ad attraversare i secoli e rimanere un grido di protesta e un monito per i più giovani.
Nonna ha camminato tanto…ha un figlio, una figlia e perde tutto. Perde tutti.
Nonna vede piangere anche gli alberi e compra una melagrana, viene legata a un cavallo perché giovane e debole, malata di tifo. Dorme sotto gli alberi mangiando pane sporco di fango, olive e pastirma.
Ecco cosa mi racconta nonna.
Ma io non ho paura, tanto lei scappa di nuovo.
Nonna non legge più, ha letto Tolstoj e le poesie di de Musset e si è ritrovata con gli occhi incollati sui brani che sembravano parlare al suo cuore straziato dal tanto soffrire.
Nonna non risponde mai a nessuna domanda. Non le piacciono. Alza le spalle. Eppure sa un sacco di cose, nonna.
Parla sempre di quel paese che sembra bello ma dove non vuole più tornare perché le fa ancora paura.
A volte nonna si confonde, confonde un po’ le cose, allora io lo aiuto perché ormai so la sua vita a memoria. Ogni tanto mi fa i complimenti
– La perla dell’harem, ecco cosa sei.
Nonna dice cose strane, una perla!
– Con i tuoi capelli biondi e gli occhi azzurri, la tua pelle chiara, sei una vera circassa! Saresti stata la perla dell’harem
Nonna non risponde a nessuna domanda perché nonna è domanda e risposta, un interrogativo vivente e testimonianza silenziosa, saggezza misteriosa. Nonna attraverserà il mare e ritroverà suo figlio e giungerà infine a Parigi dove la vita riprenderà. Regalandole anche una nipote.
Due figure si uniscono come interlocutori spirituali, vicine per affinità, lontane per età e vissuto, eppure nella frenesia della indifferenza che le circonda -anche tra le mura domestiche- si vengono incontro e si trovano con una complicità fatta di segreti e fantasie, in una sintonia unica. Con amore
È tristissimo ma ormai sono abituata alle storie di nonna. Non piango più, solo se piange anche lei. Dopo va meglio, usciamo e andiamo al cinema… Al cinema finisce tutto bene, gli innamorati si ritrovano, i cattivi vengono sempre puniti.
Nelle storie di nonna, invece, i cattivi non vengono puniti mai, continuano a fare del male e nessuno dice niente, nessuno glielo impedisce
Preziosa la prefazione in cui Dacia Maraini ricorda come il sentimento che accompagna la lettura di questo romanzo oscilli tra indignazione e tenerezza.
L’ Armenia è forse questo.
Terra di dolore e stupore, di fierezza e dolcezza. Con tanta, inesauribile, malinconia. E a noi resta l’emozione di un viaggio tra le pagine, tra i ricordi, tra le pieghe più segrete della memoria, alla ricerca delle radici estirpate.
Necessario, emozionante, di una limpida bellezza.
Piccoli…grani…di felicità.
Saffron
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