I segreti della casa sul lago, di Kate Morton
• ANNO DI USCITA 2016
• PAGINE 528
Sperling & Kupfer Ed.
SINOSSI
“All’inizio, appena era successo, aveva pensato di confessarlo a qualcuno. Ma adesso era tardi. Erano successe troppe cose. Non c’era nessuno con cui potesse parlarne; non l’avrebbero mai perdonata.”
Giugno 1933. La casa di campagna della famiglia Edevane è pronta per la festa del Solstizio e Alice, sedicenne brillante, curiosa, ingenua e precoce scrittrice in erba, è particolarmente emozionata. Sarà una festa bellissima e lei è innamorata, anche se nessuno lo deve sapere.
Ma quando arriva mezzanotte, mentre i fuochi d’artificio illuminano il cielo scuro, il piccolo Theo Edevane, che non ha ancora un anno, scompare.
E la tragedia spinge la famiglia a lasciare per sempre la casa tanto amata.
Settant’anni più tardi, dopo essere stata sospesa dalla polizia per non aver rispettato le regole, Sadie Sparrow decide di prendersi una pausa di riflessione e raggiunge l’amatissimo nonno in Cornovaglia.
Quando è già sul punto di lasciarlo per tornare ad affrontare i propri demoni, Sadie scopre una casa abbandonata, circondata da giardini incolti e da una fitta boscaglia.
Dove un bambino era scomparso senza lasciare traccia.
Per risolvere il mistero, Sadie incontrerà l’unica testimone rimasta, una delle più famose autrici inglesi, Alice Edevane.
Che le rivelerà un segreto del passato… più presente che mai.
I segreti della casa sul lago è una storia romantica, travolgente e sorprendente, nella quale Kate Morton mescola vite e segreti, luoghi favolosi e atmosfere cariche di mistero nel modo avvolgente e incantevole che milioni di lettori hanno imparato ad apprezzare.
Amo le storie misteriose, con segreti da svelare e intrighi da rispolverare dalle ceneri del tempo, e non appena mi è stato proposto questo romanzo mi sono tuffata nella lettura. La storia si apre in Cornovaglia, nel 1933, con i preparativi della festa del Solstizio d’Estate. L’autrice ne approfitta per fare una panoramica sull’ambientazione e per presentare la protagonista, Alice, una sedicenne fantasiosa, di buona famiglia, convinta d’essere il fulcro del mondo. Egoista e insofferente, respinge le confidenze di un vecchio pittore, creando il presupposto di un malinteso che sarà un pilastro fondamentale della trama. Non mi dilungo, per non annoiarvi, e mi limito a dire che, al termine della festa, il piccolo Theo, di soli undici mesi, sparisce e qualche giorno più tardi, vicino alla rimessa delle barche, viene ritrovato il corpo morto del povero pittore. Tutti si preoccupano per il bambino mentre del vecchio strambo s’interessano in pochi, ma con il medesimo risultato: nessuno sa che cosa sia successo, ai due, né se le due tragedie siano collegate.
La narrazione viene poi sbalzata nel 2003, dove conosciamo Sadie Sparrow, una detective esiliata in Cornovaglia per aver spifferato alla stampa i dettagli di un caso che stava seguendo. L’ho incontrata mentre correva nel bosco e ho seguito l’evolversi dei suoi pensieri… e ancora pensieri… e poi ancora pensieri… Oh, signore, quanto pensa! Non c’è una vera e propria scena, piuttosto viene spennellata qualche immagine qua e là e, nonostante tutte le chiacchiere e le infinite, detestabili infodump che sguazzano nelle riflessioni, alla fine mi sono resa conto di non conoscere emotivamente il personaggio.
Brutta sensazione!
Più volte mi sono accorta di essere scivolata con lo sguardo verso il paragrafo successivo, sperando di trovare uno stimolo alla lettura più vivace. Il problema della narrazione logorroica e delle infodump si è purtroppo ripresentato anche più avanti, a riprova che gli anglosassoni insegnano bene le tecniche di scrittura ma, alla fine, fanno quello che vogliono – sì, qui sono Mirto in versione liquorosa a 34 %Vo.
Ma ritorniamo alla trama. Sadie, che all’inizio non fa che correre e rimpiangere d’essere stata ingiustamente confinata a casa del nonno, trova per caso una meravigliosa villa nel cuore della campagna. Per caso, badate. Uno dei cani con cui corre si allontana e lei lo ritrova sul ponticello decadente di un giardino incolto. Scopre la casa da cui il piccolo Theo è scomparso, settant’anni prima, e decide di indagare, con risultati che influenzeranno tutta la sua vita futura. E tutto è nato dal caso (smorfia di scetticismo).
La narrazione si alterna fra i tentativi di Sadie di svelare la sorte del bambino, le parti ambientate nel passato e la vita di Alice, ormai ottantaseienne ma ancora tormentata dai segreti della sua famiglia. Tutti e tre i filoni narrativi hanno le loro punte di diamante e le loro pecche. L’autrice presenta la storia a piccole dosi, per stimolare domande e curiosità, e certi capitoli sono davvero avvincenti. Il ritmo è sostenuto, i dialoghi brillanti. Altri peccano di ingenuità e mi sono chiesta se l’editor di Kate Morton dormisse, invece di lavorare, o se davvero credesse di catturare l’attenzione del lettore con flashback e retrospettive improbabili e cedimenti di trama che – forse – si potevano trovare nelle telenovele di trent’anni fa.
Un esempio?
Non si spezza una scena di tensione con un lungo flash back che non c’entra niente con il momento narrato. Uno dei primi capitoli si apre con un’intervista ai genitori di Theo, angosciati per la scomparsa del figlio. Da lì, la mamma inizia a ricordare quando ha conosciuto il marito e come se ne è innamorata. Ma Editor Santissimo, che miseriaccia c’entra con la disperazione di una donna che ha appena perso il figlio? Ho capito che quella divagazione doveva avere una sua ragione d’essere, e infatti così è stato… ma allora perché non dedicare un capitolo specifico ai due ragazzi e allo sboccio del loro amore?
Per quanto riguarda le ingenuità, ve ne riporto una. Sadie, durante le sue ricostruzioni del crimine, si lancia in una – folle – supposizione: e se il bambino fosse stato figlio della balia, anziché della presunta mamma? Perché, è cosa nota, nel 1933 le donne incinte avevano il pancino piatto e dopo nove mesi presentavano a tutti il loro adorato figlioletto. Ed erano ancora snelle come ragazzine. Le più ardite, come la signora Eleonor, accoglievano perfino in casa il figlio del marito fedifrago per amarlo più della loro stessa vita. Un ragionamento impeccabile.
Più avanti si trovano altri dettagli che fanno sorridere. Lo chiedo a voi lettrici: nel caso in cui aveste un amante segreto, iniziereste una lettera vergata di vostro pugno con le parole: “Mio adorato XXX” (non posso fare spoiler). Per la serie, mancano solo il codice fiscale e la password di facebook…
Per non parlare del segretuccio di Alice, assolutamente ridicolo, ma che la spinge a fare sciocchezze e a chiudere la bocca alla sorella minore proprio nel momento in cui si stava per scoprire un vero colpo scena; eh, che cosa non si fa, quando si è convinti che tutto il mondo giri intorno a sé! Sì, care ragazze, io e Alice non abbiamo legato molto. Non mi è mai piaciuta, né da giovincella arrogante né da vecchiarda presuntuosa e troppe volte mi è venuta voglia di darle un calcio nel suo nobile didietro!
Quanto a Sadie, la coprotagonista… anche lei non mi è entrata nell’anima, non mi ha conquistato. Alla fine, i personaggi che mi sono piaciuti davvero sono stati il giardiniere Ben, la mamma Eleanor e il nonnetto di Sadie.
Sarei tentata di raccontarvi ancora la trama, ma rischierei di fare spoiler ed è preferibile che mi fermi qui.
Pregi del romanzo: accuratezza nella costruzione della trama, con attenzione anche ai più piccoli dettagli; l’intreccio è articolato, molte parti scorrono veloci, alcune commuovono. C’è un bel colpo di scena.
Contro: parti lunghe, appesantite da infodump, ingenuità sparse qua e là, personaggi principali un po’ freddi, con cui ho faticato a immedesimarmi. Ci sono inoltre coincidenze curiose, e personalmente non amo le casualità, in un romanzo. Ad esempio, settant’anni dopo la scomparsa del bambino, Alice e la sua sorella maggiore, ormai novantenne, suppongono che il loro padre fosse affetto dallo shock da bombardamento. Nello stesso momento, seguendo altre piste, Sadie raggiunge la medesima conclusione. Va beh…
Traduzione non sempre accurata. Alcune frasi mi sono tuttora oscure e i congiuntivi assassinati nel nome dell’indicativo stanno ancora gridando vendetta. Sbagliato inoltre, in un punto, l’uso del passato remoto durante una rievocazione inserita in una narrazione già impostata al passato remoto. Le rievocazioni, in questo caso, devono essere scritte con il tempo imperfetto e il trapassato prossimo.
Qua e là, ci sono refusi, ma sono sottigliezze perdonabili – magari imputabili anche a difetti di conversione del file.
Qualche nota involontariamente comica.
Quando Sadie incontra il giovane assistente di Alice, diventata una nota scrittrice di romanzi gialli, l’autrice descrive così le sue prime impressioni:
Sì, era decisamente attratta da luiStrano, perché non era per niente il suo tipo. La intrigava, con quei capelli lunghi senza un taglio, e con i suoi modi d’altri tempi. Non sembrava molto più vecchio di lei, e aveva il fascino dello studioso. Com’era finito a lavorare lì? Pareva la versione moderna di Lurch, il maggiordomo della famiglia Addams.
Posso azzardare a dire che la nostra protagonista ha il gusto dell’orrido?
Colpi scena
Credo che l’autrice ne avesse previsti tre, ma dopo il primo, che mi ha piacevolmente sorpreso, ho intuito gli altri due con largo anticipo. Tanto che, quando Sadie si lamenta: «Non so come ho fatto a non pensarci prima», la mia risposta è stata, a voce alta: «Era ora che ci arrivassi!»
Pdv
La storia è narrata attraverso i pdv di diversi personaggi, scelta che ho apprezzato, perché mi ha permesso di conoscere meglio qualcuno che, inizialmente, sembrava solo marginale. L’uso della tecnica non è preciso, ci sono ancora influenze della scrittura con il narratore onnisciente e troppo spesso, per citare un esempio, ho letto espressioni come la ragazza, l’uomo, la donna ecc… riferite al pdv narrante. Non si fa.
Mi ha inoltre lasciato perplessa la lunga scena narrata dal pdv di Theo, di soli undici mesi, e articolata come se il bambino fosse ben più grande:
Con il pollice in bocca, e con il suo Puppy caldo sotto il braccio, si rotolò soddisfatto su un fianco e nella luce fioca guardò verso la tata, che stava dormendo nel lettino in angolo. Non aveva gli occhiali sul naso e, senza le stanghette di metallo a tenere insieme tutto, il suo viso era franato sul cuscino, un insieme di rughe e pieghe e di sacche molli.
Theo si chiese dove fosse l’altra tata, tata Rose. Gli mancava (anche se i dettagli di ciò che gli mancava cominciavano a sbiadire). Questa era più vecchia e più severa, e aveva un odore che gli faceva pizzicare il naso. Teneva un fazzoletto umido nella manica del vestito di cotone nero, e una bottiglia di olio di ricino sul davanzale della finestra. Diceva spesso «Non esiste la parola non posso», e «chi si loda s’imbroda», e si divertiva a metterlo seduto nella grossa carrozzina nera e a portarlo su e giù lungo il viale pieno di gobbe.
[…]
Clemmie, invece […] non usava mai parole come «sporco», «pericoloso» e «no!». E, quando andava a prenderlo all’alba, come quella mattina, lo portava sempre in cucina, dove c’erano le pagnotte appena sfornate e lasciate a raffreddare sulle rastrelliere, e la dispensa con i vasi di marmellata di fragole con dentro i pezzetti di frutta.
Theo afferrò Puppy, preparandosi alla nuova avventura, e alzò le braccia, dimenandosi come se pensasse di potersi liberare dal lettino, se solo ci avesse provato abbastanza.
[…]
Scesero la scala insieme, e Theo guardò raggiante la passatoia rossa, e pensò al pane caldo con il burro e la marmellata, alle anatre in riva al torrente e ai tesori che avrebbe trovato nel fango, e a sua sorella che allargava le braccia fingendo che stessero volando; e, mentre attraversavano l’atrio, rise con il pollice in bocca, caldo e bagnato. Rise per la gioia di essere felice, e amato, e per il fatto di trovarsi lì, in quel momento.
E l’amore?, si chiederanno le più romantiche di voi. Anche se questo non è un romance, ci sono due storie d’amore importanti, e quella che ho preferito coinvolge Ben, l’affascinante giardiniere degli Edevane. La sua è una storia predestinata. Quando vede lei, per la prima volta, è l’universo stesso a suggerirgli che non deve farsela sfuggire. E anche se avrà contro ogni cosa, vivrà la sua passione fino in fondo, anche se questo significherà… Eh, no, non vi posso dire tutto!
Ben le mise una mano sulla spalla. «Ti amo.»
Lei chiuse gli occhi, la fronte appoggiata al legno duro e freddo della porta. Ben voleva sentirsi dire che anche lei lo amava, lo sapeva… ma sarebbe stato fatale.
Gli rispose con un piccolo cenno, poi sollevò il chiavistello infido e strisciò nel corridoio vuoto.
Mentre i fuochi ancora esplodevano sul lago, e le luci rosse, blu e verdi si riversavano sul tappeto, attraverso le finestre, si preparò a entrare nella nursery.
«Dirti addio è come morire, per me.»
«Allora non farlo.»
Vedendo il suo viso rianimarsi, alla luce della torcia, si rese conto che lui l’aveva fraintesa. Aveva pensato che gli stesse suggerendo di non andarsene. Allora si affrettò ad aggiungere:
«Non dirlo. Fa’ soltanto quello che va fatto».
«Deve pur esserci un altro modo.»
«Non c’è.» Non c’era. Se ci fosse stato, l’avrebbero trovato.
In conclusione, I segreti della casa sul lago non è un capolavoro, ma nemmeno un romanzo da buttare. Al contrario, ripeto, dietro c’è uno studio meticoloso dei dettagli e, a parte qualche eccezione, l’autrice è stata brava a farli trapelare tutti al momento giusto. Se il testo fosse stato sfoltito di un centinaio di pagine gli avrei dato una stellina in più; per ora, in completa onestà, gliene attribuisco 3 e ½ . Hot: 1, per il romance.
Mirto