“La maggior parte della gente non è mai costretta a scoprire di cosa è davvero capace. Non deve trasformarsi in una persona odiosa, solo per accertarsi di poter continuare a respirare.”
Sicurezza. Confidenza con il proprio io interiore, con le proprie capacità. Chi più, chi meno, tutti abbiamo una seppur minima parte di queste caratteristiche, di solito talmente artigliate alle radici della nostra essenza da non venire smosse da evento alcuno. Ma quando una situazione inaspettata ci fa crollare in un pozzo senza fondo in cui non sappiamo neanche più chi siamo e cosa vogliamo, cosa significa? Che le nostre peculiarità erano effimere o che il fattore scatenante è stato un vero e proprio tornado?
L’effetto è davvero sempre concatenato alla causa?
TITOLO: Prigioniera
AUTORE: Skye Warren, Annika Martin
EDITORE: Grey Eagle Publications
DATA DI PUBBLICAZIONE: 10 settembre 2020
SINOSSI:
La prima volta che lo vedo, mi sembra la personificazione del potere: minaccia allo stato puro e muscoli frementi, nonostante le manette ai polsi. È pericoloso. È selvaggio. Ma è anche l’uomo più bello che io abbia mai visto.
Quindi, mi nascondo dietro ai miei occhiali e al mio libro come faccio sempre, perché anch’io ho dei segreti. Poi, però, decide di partecipare al corso di scrittura che tengo all’interno della prigione, e mi conquista con la sua onestà. Nelle storie che scrive, mi racconta i suoi segreti e diventa sempre più difficile nascondere il mio. Quando si avvicina troppo, rabbrividisco. Solo le manette, le sbarre e le guardie lo trattengono. Di notte, non riesco a smettere di pensare a lui, da solo nella sua cella.
Ma è proprio quello il problema, con un animale in gabbia: non si può mai sapere quando morderà. Potrebbe usarti per scappare. Potrebbe persino trascinarti in una foresta e metterti una mano sulla bocca, per impedirti di chiamare la polizia. Potrebbe farti raggiungere l’estasi con tale intensità da annebbiarti la mente, impedendoti di pensare.
E tu potresti arrivare a desiderarlo più del tuo prossimo respiro.
RECENSIONE:
“Dicono che esistono due tipi di paura: quella che ti fa scappare a gambe levate e quella che ti scuote talmente in profondità, da impedirti di distogliere lo sguardo.”
La sofferenza porta al dolore, il dolore alla disperazione e la disperazione può trascinare fino all’efferatezza.
La vita, si sa, non è mai fatta solo di fiori di campo profumati e brezze leggere che solleticano la pelle. La vita, quella vera, è costellata di lacrime pesanti come macigni, di problemi che appesantiscono ogni passo, curvando schiena e anima. C’è chi riesce a superare ogni problema con soluzioni più o meno rapide e chi, invece, si lascia traportare dalla corrente, tentando invano di aggrapparsi, ma senza mai riuscirci.
Abigail e Grayson sono proprio lì, nel bel mezzo delle rapide. La loro canoa è ormai rovesciata e nessuno tende loro una mano. Non ci sono rami o rocce a cui aggrapparsi, solo acque torbide che li trascinano in una danza macabra e vorticosa.
Sebbene entrami annaspino, ci sono delle differenze: lei siede dietro la cattedra, lui dietro un banco. Lei è libera, lui è carcerato. Lei crede di aver superato i suoi problemi, lui fa di tutto per riuscirci.
Fra sopravvissuti ci si riconosce, ed è proprio quello che accade ai protagonisti di questa storia; basta un incontro fugace in uno squallido corridoio, lui che passa scortato da agenti mentre lei è seduta, protetta da un libro e dai suoi occhiali, e le scintille prendono vita, andando a filare un tessuto fatto di sensazionivivide e di appartenenza ancestrale.
“Non mi guarda, ma sono certo che lo senta anche lei: c’è qualcosa che ci collega, come i cavi elettrici della metropolitana.”
Chimica. Coesione. Innesco.
Nulla può impedire che i due si sentano attratti come le falene da una lampadina, neanche la reticenza che Abbie palesa con sempre più fervore attimo dopo attimo. Occulta il proprio allettamentocome chiunque farebbe con l’oggetto proibito del proprio desiderio, mosso da anni e anni di indottrinamenti e di segnaletiche scrostate a indicare quale dovrebbe essere la retta via.
“Prigioniera” è una storia semplice sia nel plot principale che nel sub–plot, a cui per ovvi motivi non posso neanche accennare. Il disegno delle due Autrici viene tracciato in maniera lineare capitolo dopo capitolo, con un tratto uniforme che non lascia spazio a cadute di attenzione. Non siamo davanti a una trama originale, ma a mio avviso questo aspetto non è una pecca; nel genere di appartenenza, non è raro trovare similitudini fra libri diversi, l’importante è che l’Autore dia comunque corpo e sostanza, andando a differenziare il proprio testo dagli altri. La Warren e la Martin sono state brave nel condurre una storia vista e rivista su sentieri in parte inesplorati, concedendo così al narrato brio e suspance.
I personaggi, invece, li ho trovati in parte troppo stereotipati, ma al contempo in contrasto con ciò che, per natura, dovrebbecontraddistinguerli.
Non posso addentrarmi troppo in questo aspetto, perché rischierei di svelare troppo, ma da un uomo traviato dal dolore e mosso dalla vendetta, mi aspetterei un aspetto più rude e deciso. La stessa Abigail ci descrive Grayson come un colosso di muscoli circondato da “un’aura di brutalità”. Lo teme, ne ha paura e ne percepisce la cattiveria, quando invece, il più delle volte, l’uomo si rivela un orsacchiotto bisognoso di coccole.
Stesso discorso, in maniera inversa, per Abigail. Descritta come una topolina indifesa che usa libri e occhiali per schermare se stessa dal mondo esterno, si rivelerà una Rambo in gonnella, capace di liberarsi da corde e manette e di trovare in se stessa il coraggio per prendere in mano il bastone del comando in situazioni che avrebbero steso emotivamente persino un NavySeal.
È pur vero che alcune dinamiche possono determinare cambiamenti sostanziali nel carattere e nei comportamenti di chi ci si trova invischiato, ma qui il problema, a mio avviso, non è dato dalle modifiche che Grayson e Abigail sviluppano durante l’evolversi della storia, ma dal contrasto, presente già dalle prime pagine, fra ciò che loro fanno e dalla descrizione che si ha di loro. Non parlo ovviamente di differenze fra ciò che compiono e ciò che pensano, badate bene: sarebbe quasi scontato, in questo caso, considerando che abbiamo un doppio pov. Parlo proprio della percezione che il lettore ha del singolo protagonista dopo aver letto azioni o pensieri, per me in completa opposizione da come lo stesso appare nella storia tramite le descrizioni che si hanno.
Ovviamente, è un aspetto non fondamentale e sicuramente alcuni lettori potrebbero non riscontrare il mio stesso problema, ma non posso nascondervi che questo aspetto, a volte, mi ha fatto storcere un po’ la bocca.
Non conosco la dinamica di collaborazione delle Autrici, potrebbe dipendere dalla doppia firma? C’è anche da sottolineare che, pur essendo arrivato oggi sui nostri e-reader, “Prigioniera” è stato pubblicato in patria natia anni fa, quindi si potrebbe presumere che le Autrici fossero più acerbe rispetto a ora.
Ai posteri l’ardua sentenza.
La storia è comunque godibile, le ambientazioni creano il giusto scenario e i personaggi secondari sono ben descritti.
Alla prossima,
Laura
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