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Sinossi

Contraccambiare il male ricevuto con il male peggiore. Questo è ciò che ha spinto un uomo misterioso a compiere l’atto più nefando. Marco Quinto Rufo questa volta non dovrà combattere guerre, né affrontare feroci barbari ai confini dell’Impero, perché la vendetta ha bussato alla sua porta e pretende un tributo di sangue. Non il suo, né quello di sua moglie ma quello di un essere indifeso che il vile, oscuro, nemico gli ha sottratto. Lui che non teme nulla e nessuno dovrà affrontare il Male Supremo, faccia a faccia, in una partita a due che avrà un solo vincitore ma non un solo protagonista. Perché in quei giorni oscuri e terribili, l’amore riuscirà a sconfiggere l’odio e un suo germoglio nascerà nel cuore dell’arciere siriano Arash Tahmurat…

«Voi guerrieri non avete mai paura.» Fu obbligata a sollevare il viso per guardarlo in faccia. «Oh sì che ne abbiamo e se qualcuno ti dice il contrario, non credergli. La paura non è che il fondamento del coraggio, l’emozione che lo nutre e lo nobilita. Un uomo che non prova paura è uno sciocco, un pazzo o un’incosciente.»

I guerrieri veri sono uomini, sono grandi uomini, dal cuore impetuoso che batte forte per passione, trema per tenerezza e poi rallenta fino a riprendere il suo ritmo regolare sul campo di battaglia, come un tamburo di guerra controllato dalla disciplina.
Sono uomini che non vacillano, che non abbassano lo sguardo, ma dopo l’orrore e la violenza, lo mantengono limpido per incatenarlo ad occhi che amano o lasciarlo scrutare con tenerezza lo stupore di un figlio. Hanno mani grandi e forti, strumenti di lotta per essere macchine da guerra, eppure tocco gentile e caldo per accarezzare un volto adorato e stringere forte al petto uno spirito turbato. Hanno parole che sanno infiammare gli animi per lanciarli alla battaglia meglio di un peana, e preghiere da sussurrare la notte per credere nel domani, nella possibilità di tornare a casa dal fronte. Hanno pensieri di pietà e di magnanimità per ricordare che il nemico è sempre un uomo, e come tale deve essere trattato con onore e rispetto, perché il destino degli uomini è sulle ginocchia di Giove. Hanno desideri e sogni, risate allegre che mescolano la loro voce grave a quella cristallina dei figli che li riportano alla parte più innocente della loro natura, quella non contaminata dalle storture del mondo, fatto di ineguaglianza sociale e di guerra. Il mestiere più cruento e esigente. Sono uomini ma sono innanzitutto cives, cittadini e figli di Roma, che appartengono alla loro comunità. Uno stato che pretende siano figli di Roma e poi padri della propria famiglia. Roma e l’imperatore sono una realtà più grande, eterna, che chiede dedizione, perché Roma è sovrana e l’imperatore ha un rapporto privilegiato con gli dei, perché può garantire pace, benessere e una nuova età dell’oro. Ma la felicità è costruita sulla pace e la pace è una pace armata, così come nella vita. 

Il nostro protagonista è un eroe che vive così, giganteggia solitario per carisma e magnetismo, per autorevolezza innata ed esercizio del potere misurato, per la disarmante umanità che mostra -riluttante e irresistibile- negli affetti più cari. Un guerriero giusto, che deve tuttavia combattere il nemico di sempre, responsabile ora del delitto più vile e infame. Per Rufo sarà la battaglia più aspra, minacciato dal senso di colpa e intorpidito dall’angoscia incontrollabile.

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Una caratterizzazione forte, di questo uomo che può di nuovo amare, adorare, proteggere, il Lupo di Roma che non ha paura della morte, Marco Quinto Valerio Rufo, vittima ancora una volta dell’amore. Al centro di una storia densa di passione e azione, un affresco a pennellate decise, innanzitutto per le due emozioni che la governano: vendetta e amore. Intrecciate nel modo più crudele e disperato. Una vendetta eseguita materialmente da mani amorevoli, abituate ad accudire e ora pronte a tradire. Per amore. Il sacrificio di una madre che colpisce un’altra madre per una vendetta che non le appartiene, nella speranza incosciente di salvare la figlia Mirta, destinata a non essere mai libera. Serva fedele della oscura dea Ecate, prigioniera  dei rituali arcani di un culto ancestrale dai riti oscuri.
Un misfatto su commissione, tremendamente facile per la fanciullesca fiducia della bella bimba dai boccoli scuri, e così le ombre lunghe della angoscia e della disperazione si distendono sulla casa di Rufo e della amabile Livia. La loro serenità, dopo che quest’uomo coraggioso ha sfidato Roma e il suo imperatore pur di avere la donna che ama, la complicità che li unisce, sono messi a dura prova
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Il nostro Lupo (ebbene sì, potrà anche indossare il laticlavio, la toga riservata ai senatori, sedere sugli scranni nelle riunioni e fare il consigliere dell’imperatore ma resta sempre un uomo d’azione) vuole vendetta. Vendetta come risarcimento, giustizia? O come castigo, punizione? Vendetta è per Rufo l’espressione della giustizia e del castigo, un risarcimento. La vendetta è per i suoi nemici una dilettevole fantasia trasformata da piacere evasivo a progetto concreto mortifero, ordito nell’ombra con costanza tale che solo un rancore profondo radicato nell’odio può giustificarla.
Rivalità e antagonismo, due emozioni intense che divampano tra i valori e gli ideali.
La conoscenza del periodo storico in cui è ambientato il romanzo è scrupolosa, i personaggi nella polvere del tempo emergono nitidi e agiscono, pensano, parlano in modo credibile. Ogni scelta è dettata dal contesto e dalla mentalità di quel periodo storico con coerenza e si ripercuote sulla trama con logica narrativa. Non è solo una tecnica,non è taglio visivo cinematografico,è la capacità di “calare nella realtà/finzione”. È una piccola magia.
Questa perfetta aderenza rende credibili i protagonisti e fascinosa l’ambientazione.
Bracieri fumanti e atrii odorosi di incenso, lanterne a olio, il fruscio delle tuniche e le melodie degli auloi o le nenie ipnotiche dei sistri… Le ville produttive grazie alla manodopera servile e i luoghi di ozio, in cui godere del piacere letterario sotto i portici che nascondono confidenze, chiacchiere, riflessioni filosofiche e pettegolezzi sulla capitale e sugli intrallazzi amorosi delle matrone. I vicoli polverosi della Suburra e gli altarini dei Compita ai crocicchi delle strade dove nascono gli intrighi di potere tra i borbottii dei senatori, mentre in lontananza arrivano le risate dalle terme e il ritmo marziale del calpestio di calzari e del battere regolare degli zoccoli sul selciato e basolato delle vie consolari.
Il valore della ambientazione sta nella capacità di calare le vicende perfettamente nella realtà dell’età giulio-claudia, della prima epoca imperiale. Un periodo di restaurazione morale e civile, celebrata dalla ideologia e dalla propaganda, speranze e senso di attesa, ma anche strascichi di violenza e di incertezza politica, soprattutto nei confronti di un sovrano “progressista” e visionario maltrattato dalla tradizione, qui sorprendentemente tratteggiato come illuminato pronto a fare il bene di Roma e forte del rapporto di complicità con il senatore Rufo.
Speciale è la figura di Arash Tahmurat, ex prefetto degli ausiliari siriani della Legione XXII Primigenia, volto affilato da rapace, lunghi capelli trattenuti a stento da un laccio di cuoio come l’ardore a malapena temperato dalla ferrea disciplina.
Compagni di armi, volti segnati dalla guerra e spiriti indomiti votati al generale che è cresciuto oltre il limes, oltre il confine, nelle terre dei Germani, dove ha vendicato l’assassinio del padre con la ferocia di un barbaro e la devozione filiale di un romano.
È un vero romanzo,con tutti gli ingredienti del genere, tanta azione, fango e sangue, l’esotismo rivissuto nelle parole di Arash che sa emozionare raccontando di paesaggi e avventure lontane.
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Sentimento, tanto, dall’amore viscerale materno a quello appena nato. Delicati i passaggi sulla scoperta di questa emozione inaspettata e sconosciuta ad Arash

come un animale selvatico a cui è giunto, portato dal vento, l’odore della preda agognata. Se avesse dovuto divorarla o accoppiarsi, non gli fu chiaro.Seppe solo che doveva difendere Mirta…

E l’innocenza tinta di rossore di Mirta, che scopre la sua femminilità grazie al giovane guerriero, una sensualità acerba che fino a quel momento era stata sollecitata esclusivamente dalle linee modellate nel marmo delle statue votive.

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Amore…l’amore ha le sue stagioni, i suoi sapori e i suoi colori. Quello coniugale è passione e devozione, complicità e affetto. Intensi i passaggi dedicati all’amore di Rufo e Livia, che è “volere bene”, volere il bene dell’altro, il compagno di una vita di ricordi e di progetti.

Un altro cucchiaio, ognuno era una conquista, come abbattere i tronchi di un accampamento barbaro. «Lo avevi capito, dunque?» Il cucchiaio urtò la ciotola e lui aggiustò il tiro. «Sì, e nonostante tutti i tuoi difetti, penso ancora che tu sia interessante e attraente» Livia gli aggiustò una piega inesistente sulla tunica. Per Ercole,ancora qualche cucchiaio e la ciotola sarebbe stata vuota. «Tu adori la terra su cui cammino,ammettilo.» «Non darti troppa importanza, Marco Quinto Valerio Rufo.» «Cosa c’è di sbagliato nel voler essere perfetto, agli occhi di mia moglie?» I loro sguardi si allacciarono. «Nulla e tu lo sai. Hai avuto pazienza con me.» L’ultimo cucchiaio. Tantissima pazienza.» «Un uomo paziente, in cui la forza si estende fino alla spietatezza, senza rimorso.» Le iridi erano adesso del verde scuro della foresta. Posò il cucchiaio sul vassoio, toccava alle polpettine, ne afferrò una tra pollice e indice. «Non avrò alcun rimorso, quando scoprirò chi è stato e tu lo sai.» Livia aprì la bocca senza neppure accorgersene. «Non un giuramento, ma una dichiarazione d’amore.»

11759616_1456148508023503_1824900716_nVoi uomini non dite mai “ti amo”. Vi fa paura.» Lui scrollò le spalle.

«L’amore che provo per te e per mia figlia è sacro.» Un’altra polpettina sparì.«Ti amo così tanto da riempire tutto il “mondo che conosco e desidero solo di poterti rendere di nuovo felice. Mangia, tesoro mio.» Le labbra di lei si incurvarono appena. «Quando parli d’amore non sei un bestione, diventi un poeta.»

Conforto e passione.
Le figure femminili riescono ad emergere per determinazione, coerenza nelle scelte e nei sentimenti, fierezza. Sono portatrici dei valori universali, anche se distanti da quelli del mos maiorum (il patrimonio tradizionale e l’eredità culturale e morale del popolo romano). Sono la coscienza del cuore, obbediscono alla legge dell’amore.
Livia è protagonista forte perché, anche nel dolore straziante, trova nell’amore la forza temeraria per riavere sua figlia, testarda e orgogliosa a tal punto da osare l’impossibile, perfino agli occhi della scandalosa cugina Giulia, incarnazione beffarda di lussuria…
Trama ricca ma sorvegliata,colpi di scena mirati, il lettore trova familiarità con i personaggi pagina dopo pagina, il ritmo è incalzante.
Amare tanto, lottare sempre e vivere come eroi.
Che volete di più?

Si conferma un’autrice che racconta la passione tra la polvere della storia. Le sue pagine hanno forza, carattere, delicatezza e premura nella ricostruzione dell’ambientazione. I suoi personaggi respirano nella storia, pensano e vivono in quel contesto socio-culturale, agiscono seguendo quella realtà. Una coerenza narrativa ammirabile, che lascia al lettore la possibilità non solo di sognare ma di immedesimarsi pienamente nel racconto e calarsi in un mondo affascinante. Lontano, eppure così vicino…

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preview - Copia (3) - Copia

Saffron

PS: praefectus Urbi...non è purismo, solo un labor limae per chi ha una tale premura nella ricostruzione della realtà antica (lessico a fine testo molto buono e chiaro )…fammi felice Adele!