Lunedì 23 aprile è stata la Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore, un evento patrocinato dall’UNESCO per promuovere la lettura, la pubblicazione dei libri e la protezione della proprietà intellettuale attraverso il copyright. Dal 1996 questa data segna un momento importante, che prende spunto dalla tradizionale festa catalana per incoraggiare il piacere della lettura, quale momento privilegiato di evasione e crescita intellettuale, se non morale.
In questa settimana numerosi blog e pagine letterarie si sono soffermati su alcuni aspetti di questa manifestazione o hanno approfondito alcuni autori, anche Harem’s book vuole riflettere sul piacere e sul privilegio di perdersi nella lettura, in particolare modo quando si tratta di un classico che -come ricordava Italo Calvino- è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire.
Oggi è giornata dedicata ad una figura controversa, ingombrante ed affascinante, un vero e proprio mito del Romanticismo per la sua sensibilità esasperata e il parossismo espressivo. Personaggio centrale della Letteratura della crisi del Cinquecento, un pilastro della storia della letteratura italiana, imposto e a fatica “digerito” sui banchi di scuola. Eppure…moderno, affascinante, umanissimo.
Torquato Tasso (1544-95) è simbolo vivente dei mutamenti drammatici degli anni della Controriforma, figlio di un cortigiano e cortigiano a sua volta, protagonista delle vicende della corte estense dove giunge poco più che ventenne per rimanere fino al 1579. In questo ambiente insidioso e affascinante è letterato ed artista, esprimendosi nelle sue opere maggiori, affrontando quasi ogni elemento del repertorio letterario rinascimentale, dalla lirica alla tragedia, dalla favola pastorale al poema epico, sino alla prosa filosofica e alla poesia dottrinale. Erede della tradizione ferrarese, con opere come l’Amintae il poema epico-cavalleresco Gerusalemme liberata(1575) diventa un erede legittimo e rivoluzionario della tradizione del poema epico-cavalleresco italiano, in linea diretta con Boiardo e Ariosto. Sullo sfondo di una corte ripiegata su se stessa, intenta a contemplare il mito di se stessa, vagheggiando raffinate aspirazioni erotico-cortigiane.
Un rapporto difficile, tormentato.
Tasso è consapevole della sua grandezza e della crisi del tempo, senza mai crogiolarsi nel talento o nella fama quanto piuttosto macerandosi nell’insicurezza e nella irrequietezza. Ciò che rende unico questo poeta e letterato è la connessione intima del piano della coscienza letteraria con quello umano. Perennemente insoddisfatto del lavoro compiuto, perfezionista ossessivo, inquieto e incostante, diffidente.
Un travaglio interiore lacerante, esasperato dalla difficile situazione politica del Ducato minacciato dalle mire annessionistiche della Chiesa, sotto la minaccia costante dell’accusa di eresia. Una pressione costante e profonda, fino al 1579, anno in cui il fragile sistema nervoso di Tasso crolla in mille pezzi durante la cerimonia per le terze nozze del Duca con Margherita Gonzaga. Arrestato, sarà rinchiuso per ordine del Duca nell’Ospedale di Sant’Anna per sette lunghi e miserabili anni. Preda della malattia e delle allucinazioni, registrate nelle lettere all’amico Maurizio Cataneo in cui confessa il suo disagio, tale da sentirsi perseguitato da un “folletto” dispettoso, pronto a rubare le sue carte per prendersi gioco della sua persona già così fragile.
Nel 1586 sii trasferirà a Mantova presso i Gonzaga, dove terminerà la tragedia Torrismondo, per poi continuare il suo pellegrinaggio intellettuale in varie città italiane, tra cui Napoli e Roma, luoghi di ispirazione religiosa ( Il Monte Orvieto – Sette giornate del mondo creato).
Roma lo accoglie tormentato per la labile salute dei nervi, le crisi depressive, amareggiato per la pubblicazione a sua insaputa dei sui manoscritti. Roma accoglie le sue ceneri, in un luogo speciale, dove aleggiava la promessa di un riconoscimento letterario, vana.
Poeta e uomo, ogni artista è carne e sangue, miserie e ambizioni. Tasso è mente e cuore, formazione classico-rinascimentale e sensibilità etico-religiosa. La rielaborazione personalissima della sua sensibilità è ciò che lo distingue: accentua il carattere soggettivo, lirico, sempre. Anche riprendendo elementi della letterarietà. Per un percorso personalissimo ed autentico di riflessione morale.
L’Aminta risponde alle istanze del genere e alle aspirazioni dell’ambiente committente, proponendo una concezione voluttuosamente edonistica dell’esistenza. C’è tuttavia una accentuazione drammatica del motivo tipico dell’amore contrastato, tanto da farne una proiezione personale del suo stato d’animo, del suo sentire, accentuando l’aspetto drammatico ed elegiaco. L’amore non è maniera, diventa passione
Amiamo, ché non ha tregua
con gli anni umana vita,
e si dilegua…
Perduto è tutto il tempo,
Che in amar non si spende.
O mia fuggita etate,
Quante vedove notti,
Quanti dì solitari
Ho consumati indarno,
Che si poteano impiegar in quest’uso,
Il qual, più replicato, è più soave.
L’urgenza di questo sentimento nasce dalla consapevolezza della fragilità dell’uomo, della caducità dell’esistenza, della precarietà di un’epoca al tramonto.
Questo desiderio di accentuare gli elementi sentimentali lo porta a rinnovare la tradizione (petrarchesca) anche nelle Rime, in cui la natura non è solo sfondo o cornice al sentimento (o all’occasione) ma diventa una metafora, riflesso dell’emozione del momento.
Questo rapporto conflittuale e dolente con il mondo lo spinge a cercare di realizzare (a soli 18 anni pubblica il Rinaldo) un’opera che diventi sintesi universale della tradizione cavalleresca, interpretata personalmente, impreziosita dai contributi della riflessione teorico-letteraria contemporanea, alimentata dal fervore per la rinascita del sentimento religioso.
Tante le novità della Gerusalemme rispetto alla tradizione epico-cavalleresca, dal contenuto non più fantastico ma storico (la prima Crociata per la liberazione del Santo Sepolcro in Gerusalemme), vero nel senso di religioso e spirituale, in linea con il clima di rinnovamento spirituale, alla forma, che per esprimere al massimo una storia di alta dignità religiosa e storica, sceglie l’unità narrativa e una forma grave, un registro sublime. Anche se sottoposto il suo poema alla critica, Tasso subirà la crudele beffa delle osservazioni regolistiche e moralistiche, tanto da riscriverla con maggior rigore e, inevitabillmete, minor incisività (Gerusalemme conquistata).
Resta il senso dell’avventura, la meraviglia nei confronti dell’esotico, delle leggende e delle invenzioni magiche, eppure compare il meraviglioso cristiano, in una sintesi personalissima di fervente credo e creazione letteraria.
La storia della conquista diventa narrazione di storie di amori infelici come quello di Olindo e Sofronia, Erminia e Tancredi, Tancredi e Clorinda; il racconto delle gesta si rivela il ricordo delle morti infelici di molti eroi nella banalità del male, così “democratico”, poiché strappa alla vita guerrieri sia sul campo cristiano che su quello pagano.
Il poema riproduce un “picciol mondo”, una favola unitaria che raccoglie diversi filoni narrativi in una struttura armonica e compiuta. La giostra ariostesca è diventata una architettura perfetta, al movimento centripeto dei Crociati spinti all’assedio di Gerusalemme si alternano le spinte centrifughe, vere e proprie deviazioni che allontanano i guerrieri dal campo, che rappresentano il traviamento morale. Un moto continuo che è il risultato armonico di un sistema di forze contrapposte, coordinate secondo le polarità di bene e male, cristiano e pagano, teologia e magia, ordine e disordine, unicità e molteplicità.
…ecco additar Gierusalem si scorge: ecco da mille voci unitamente Gierusalemme salutar si sente…
Sommessi accenti e tacite parole,
rotti singulti e flebili sospiri
de la gente ch’in un s’allegra e duole, fan che per l’aria un mormorio s’aggiri qual ne le folte selve udir si suole
s’avvien che tra le frondi il vento spiri, o quale in fra gli scogli o presso a i lidi sibila il mar percosso in rauchi stridi.
Corrono, combattono, tornano e partono. Rinaldo, eroe emblematico, capostipite della casata estense, dopo la sua iniziazione e superate le ingannevoli lusinghe delle maga Armida, trova la purificazione sul Monte Oliveto, così da vincere il maleficio della selva incantata di Saron, fornendo ai cristiani il legno per le macchine da guerra con le quali sferrare l’assalto decisivo. Se Rinaldo impersona la virtù guerriera (obbligo encomiastico nei confronti degli Estensi), Goffredo riprende il modello del pius Enea virgiliano, diventando però il prototipo dell’eroe della Controriforma cattolica, mosso da un’incrollabile fede nel disegno provvidenziale che guida la sua missione; Tancredi, dominato da una “follia d’amore”, si rivela una figura tragica e fortemente chiaroscurale. Argante e Solimano giganteggiano tra le fila pagane, simboli del furor, della violenza devastatrice e cieca, immensa e drammatica, che esprime nello scontro finale “l’aspra tragedia dello stato umano”.
Lievi e conturbanti i personaggi femminili, in cui si animano coraggio e passione, per un amore destinato, inevitabilmente, alla delusione. L’universo femminile esprime le sfumature della sensualità e del sentimento, dal pudore di Sofronia, alla fierezza di Clorinda, alla malia di Armida, alla dolcezza di Erminia.
Eppure tutto è inganno.
Una constatazione malinconica sul destino dell’uomo sofferta, lucida, quasi esprimesse lo smarrimento del poeta di fronte alla caducità
Mirò, quasi in teatro od in ogni agone
L’aspra tragedia de lo stato umano,
i vani assalti,
e il fèro orror di morte,
e i gran giochi del caso e de la sorte
(XX, 73)
Una riflessione profonda, secondo il sentimento cristiano più autentico, in cui cultura e religione tendono a coincidere in modo perfetto e non manieristico, toccandosi nel punto di una intuizione che è rivelazione: il limite umano, la fragilità delle aspirazioni mortali, la vanità dei sogni. Questo è l’uomo. Impotente di fronte ad una volontà superiore e imperscrutabile che, sebbene divina, resta misteriosa e insondabile.
Perché (ri)leggerlo? Non solo come dovere nella formazione scolastica. Per piacere, perché la poesia prende un tono nuovo, che prende il suo nome. Perché, come ricordava Francesco Flora, ha saputo conferire il senso del meraviglioso non più all’irreale (sia pure fondato sulle credenze della fede religiosa) ma al reale della vita: facendo a un tempo della bellezza e dell’amore terreni una metafora del sovrannaturale.
Per ritrovare nell’ irrequietezza che agita il suo spirito la moderna inquietudine, per cogliere nella profonda insoddisfazione del suo genio innovatore la forza eversiva e vitale della ribellione.
Saffron
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Note bibliografiche
Torquato Tasso, Gerusalemme liberata (ed. consigliata: ed. Tomasi, Milano, Bur-Rizzoli, 2009)
Torquato Tasso, Lettere poetiche (ed. consigliata: ed. Molinari, Parma, Guanda-Fondazione Pietro Bembo, 1995
Luigi Poma, Studi sul testo della ‘Gerusalemme liberata’, Bologna, Clueb, 2005; Torquato Tasso, Apologia in difesa della ‘Gerusalemme liberata’, in Torquato Tasso, Prose, a cura di Ettore Mazzali, Milano-Napoli, Ricciardi, 1959, pp. 410-485; Matteo Residori, L’idea del poema. Studio sulla ‘Gerusalemme conquistata’ di Torquato Tasso, Pisa, Scuola Normale Superiore, 2004; A. Asor Rosa, Storia della letteratura italiana, “2000; Aminta e Rime / Torquato Tasso; a cura di Francesco Flora, Einaudi, 1976.
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