«Firmi qui prego». La voce leggermente annoiata di un uomo mi riscosse dai miei pensieri. Presi il foglio che mi porgeva e lo lessi con attenzione.

«È una dichiarazione di riservatezza», continuò senza degnarmi di uno sguardo e porgendomi un’elegante penna stilografica.

Non riuscii a trattenere un sorrisetto divertito.

-Certo, ed io sarò molto riservata, contaci!- pensai prendendo la penna e firmando decisa.

Fatto! Ero dentro il famoso Harem e adesso nessuno mi avrebbe fermata.

«Dovrà lasciare tutti i suoi effetti personali nello spogliatoio. Questa è la chiave dell’armadietto che le è stato assegnato. Troverà un accappatoio, lo indossi, poi si rechi nel salone. Un’ancella le spiegherà tutto e la preparerà» continuò sempre assente, riponendo le carte che avevo firmato all’interno di un voluminoso raccoglitore.

«Una domanda».

Mi osservò curioso, scrollandosi di dosso quella patina di noia che sembrava non l’abbandonasse mai. Non mi rispose, ma i suoi occhi, che finalmente si posarono su di me per studiarmi, mi dissero che potevo chiedere ciò che desideravo.

«Credevo che la presenza maschile fosse proibita in un harem».

Un lampo. Un lampo di pura malizia gli illuminò lo sguardo per un attimo.

«Sono una spezia anche io. Mi chiamo Paprika».

Il modo in cui lo disse, mi fece capire che nascondeva qualcosa.

«Sono un eunuco» continuò indossando nuovamente la sua maschera di finta indifferenza.

Se quello era un eunuco io ero Pamela Anderson e tra me e la bella Pamela c’era una differenza abissale, non foss’altro per la taglia di reggiseno. Lo scrutai un attimo, incerta se porgli un’altra domanda. Non dovevo esagerare o mi avrebbero scoperta subito, eppure morivo dalla curiosità di capire perché quel tipo, che tutto era fuorché un eunuco, fosse tollerato nell’harem. O il sultano era uno stupido o qualcosa non tornava.

«Un eunuco?» ripetei non riuscendo a tener a freno la lingua. Maledetta deformazione professionale.

Lo sguardo che mi riservò mi lasciò senza parole. Una radiografia. Mi fece una vera e propria radiografia. Ero certa sarebbe stato perfino in grado di dire se portavo il perizoma o meno.

Ridacchiò soddisfatto. «Non sono sicuro piacerai al sultano, ma sai…» fece una pausa per darmi un’ultima occhiatina. «Sono un eunuco, non ne capisco molto di donne». Calcò su quella parola, sfidandomi ad affermare il contrario. Mi appuntai mentalmente di indagare meglio su quel Paprika. Mi morsi la lingua per non rispondergli per le rime, presi la chiave e mi avviai verso una porta con su scritto “Spogliatoio”.

La mia inchiesta sull’harem delle spezie stava per cominciare.

***

Non ero una donna che si concedeva grandi attenzioni. Di solito ero concentrata sul lavoro, pertanto mi ritrovai ad ammettere che, essere in ammollo in una piscina d’acqua termale con tutta una schiera d’ancelle che ti coccolavano in modo piacevole, era un aspetto non trascurabile.

Sollevai con fatica le palpebre per guardarmi attorno, vi erano diverse donne che chiacchieravano a bordo piscina avvolte in un caldo asciugamano e sorseggiando una bevanda. Altre, come me, erano immerse nell’acqua e si lasciavano massaggiare e pulire dalle ragazze che lavoravano in quella specie di sala termale. Le palpebre si chiusero di nuovo. Non mi ero mai sentita così in pace, dovevo riconoscerlo. Sorrisi impercettibilmente. Una volta uscito il mio articolo e rovinata la reputazione di quell’imbroglione, magari avrei potuto spedirgli una somma per ripagarlo di quel delizioso bagno termale.

«Sei quella nuova, vero?»

Una vocina impertinente mi risvegliò dal languore che mi aveva avvolta. Aprii gli occhi di scatto e me ne ritrovai due che mi guardavano curiosi.

«Sì» mi limitai a rispondere stando sulla difensiva.

«Hai già scelto il nome?» chiese appoggiando un gomito sul bordo vasca e inclinando di lato il capo come per concentrarsi meglio.

No. Quello stupido nome non lo avevo scelto. Sorrisi fintamente cordiale.

«No. A dire il vero non l’ho ancora scelto, ma avrei una mezza idea» ammisi, mentre osservavo con preoccupazione un gruppetto di donne che ci stavano osservando.

«Dai, dimmi. Sono curiosa» riprese l’altra agitando con la mano un po’ l’acqua. «Io mi chiamo Coriander. Bello, vero?»

Sorrisi di fronte a tanto entusiasmo. «Io pensavo a qualcosa come Clove», dissi studiando il gruppo di donne che adesso si stava avvicinando.

«Clove?» ripeté perplessa. «Suona bene» disse dopo un po’ sorridendo, «ma che spezia è?»

Tornai a puntare lo sguardo negli occhi di Coriander. «Sono un chiodo» dissi con un punta di sarcasmo, pentendomene subito. «Un chiodo di garofano» aggiunsi frettolosa, cercando di rimediare al danno.

«Ah» fece Coriander un po’ interdetta, voltandosi d’un tratto per seguire il mio sguardo. Sorrise e fece cenno con la mano alle altre donne di avvicinarsi di più. «Venite. Vi presento la nuova spezia, Clove».  Si voltò un attimo entusiasta per spiegarmi che quelle erano le spezie dell’harem, le prescelte del sultano. Le altre erano solo gentili ospiti.

«Anche le ospiti vedono il sultano?»

«No» aggiunse una signora bruna e riccioluta, sedendosi su bordo della piscina e immergendovi le gambe. «Il sultano si mostra solo alle spezie. Piacere, io sono Ginger».

Sorrisi e le strinsi la mano. In realtà sapevo benissimo che il sultano non si mostrava facilmente. Avevo faticato un bel po’ per essere ammessa tra le spezie. Era circa un anno che seguivo silenziosamente quel gruppo e quando finalmente mi era giunta a casa la lettera d’invito avevo stentato a crederci.

«Beh» aggiunsi incapace di trattenermi, «adesso sono una spezia quindi stasera lo vedrò».

Le ragazze scoppiarono a ridere. Le guardai stupita, non riuscivo a comprendere cosa avessi detto di tanto divertente. Stavo per chiederglielo quando suonò un gong. Le donne in piscina uscirono velocemente, mentre le ancelle con zelo si muovevano per portare asciugamani e ciabatte.

«È ora di andare» mi disse Coriander, «ci vediamo dopo».

Mi ritrovai ad essere una delle ultime rimaste ancora in piscina. Quelle risatine mi avevano lasciato un senso d’inquietudine. Avevo dato per scontato che avrei visto il sultano quella sera stessa e se non fosse così? Se pretendessero di mettermi alla prova per esser certe della mia assoluta fedeltà a quell’uomo? Dovevo ammetterlo. Non era poi così stupido, ma io sarei stata più furba di lui. Un battito di mani mi fece alzare lo sguardo.

«Il gong è suonato da un po’. Che fai non esci?» mi chiese divertito Paprika.

Sbuffai infastidita.

«Dovrei uscire mentre tu ti godi lo spettacolo?»

Sorrise malizioso. «È uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo».

Mi stava sfidando? Beh non ero una che si faceva intimorire facilmente. Il mostrarmi nuda non mi aveva mai messo in imbarazzo. Uscii lentamente dall’acqua, mi strizzai i capelli ignorando l’uomo che mi stava di fronte e che ero certa mi stesse guardando. Mi passò gentilmente un asciugamano caldo.

«Goduto lo spettacolo?» chiesi sfrontata.

«Ho visto di meglio» disse allontanandosi indifferente.

Gli rivolsi un’occhiataccia e mi appuntai mentalmente di evirarlo di persona non appena mi fossi liberata della mia copertura.

 ***

Era sera e tutte le spezie erano state radunate in una piccola sala ricca di cuscini. Mi resi conto che il numero reale delle spezie era decisamente inferiore rispetto a quello delle donne che frequentavano di giorno le sale pubbliche dell’harem. Ciò che desideravo comprendere era perché avessero accettato di sottomettersi ad un uomo. Non sembravano prigioniere, ma non potevano essere felici di star lì. Le ricattava forse? O magari le corrompeva con ingenti somme di denaro.

«Ciao Clove» disse Coriander sorridendomi allegra e sedendosi accanto a me. «Visto che bello?» chiese, mostrandomi il delizioso abito orientale che indossava. Mi limitai ad annuire indulgente. Dovevo riconoscere che almeno il sultano aveva buon gusto. Gli abiti erano deliziosi e sembravano adattarsi alla personalità e al nome di ogni spezia. Accarezzai il grazioso corpetto che mi fasciava il seno, la stoffa era di un colore caldo ma discreto rispetto alle altre e al tatto era leggermente ruvido, come il mio carattere. Tutto sommato mi piaceva molto.

«Spero che stasera scelga me» ammise emozionata la mia nuova amica. «Muoio dalla curiosità» continuò. «Dicono che il sultano sia molto dotato». Mi strizzò l’occhio complice ed io cercai di camuffare la faccia da pesce lesso che di sicuro dovevo aver assunto. Che le drogasse? Guardai con sospetto la tisana che stavo sorseggiando.

Ad un tratto una risata maschile attirò la mia attenzione. Vidi in lontananza Paprika che chiacchierava con una ragazza.

«Come mai gli permettono di stare qui?» chiesi a Coriander.

«Chi? Paprika?»

Annuii. «Non crederai che sia davvero un eunuco? Hai sentito la voce?»

Coriander rise di gusto. «Certo che non lo è! Però è simpaticissimo».

-Se lo dici tu- pensai, cercando di non mostrare il mio scetticismo.

«Non so bene perché sia qui, sono una spezia nuova, come te e molti segreti dell’harem non mi sono stati svelati. Però di una cosa sono certa, Paprika non è quel che sembra».

«E ti credo!» sbottai ad alta voce, vergognandomi e riprendendo con tono bassissimo. «Quel farabutto si spaccia per una mezza donna! Ti rendi conto?»

«Sì» squittì divertita Coriander, «un infiltrato! Trovo la cosa così eccitante e tu?»

Non vi trovavo nulla di eccitante in un imbroglione, doppiogiochista, che si spacciava per eunuco pur di guardare indisturbato delle donne nude.

«Sì, molto» commentai distratta.

Il suono del gong fece zittire tutti. Guardai Coriander che bisbigliò emozionata, «è il sultano».

Finalmente! Almeno il suo volto mi sarebbe stato svelato.

Un ampio portone dagli intarsi dorati si aprì. Un gruppo di ancelle che spargevano petali profumati entrò, nascondendo in parte la figura che le seguiva. Stavo trattenendo il fiato, dovevo riconoscere di essere curiosa. Nessuno, tranne le spezie, sapeva chi fosse il sultano. Adesso finalmente l’avrei visto; l’avrei visto e lo avrei raccontato al mondo intero.

Il mio entusiasmo venne presto smontato. Ci eravamo divise tutte in due ali. Non appena le ancelle si allontanarono, attendendo il padrone in un angolo, mi resi conto che quell’uomo aveva il volto coperto da un velo, l’unica parte del suo corpo visibile, oltre alle mani, erano gli occhi. Non riuscii ad udire neppure la voce, visto che per parlare si avvicinava al volto delle donne, sussurrando qualcosa all’orecchio. Quando mi fu accanto mi riservò uno sguardo veloce e passò oltre.

Poco ci mancò che mi cascasse la mascella per terra. Mi aveva ignorata, completamente ignorata! Si fermò un paio di donne dopo e io mi persi a fissargli la schiena ancora incredula. Stava chiacchierando con una bella ragazza dai capelli castani.

«Credo che stasera sceglierà Saffron» bisbigliò Coriander.

La guardai ancora confusa, chiedendomi quanto tempo ci sarebbe voluto per farmi scegliere da quel dannato sultano.

La mia amica ridacchiò della mia faccia ancora sbigottita.

«Credevi fosse fatta, eh? Io sono qui da un mese e ancora non mi ha scelta. A quanto pare non basta essere una spezia per riuscire ad entrare nelle sue grazie» concluse sospirando.

Maledetto! Ma io non mi sarei lasciata ingannare così. Mi avrebbe scelta e io gli avrei estorto tutti i suoi segreti, per poi raccontarli un un’inchiesta che avrebbe fatto parlare di sé un bel po’. Elena Marras non si faceva ingannare così facilmente.

 ***

Le giornate trascorrevano in modo molto piacevole all’harem. Si parlava di libri, ma non solo. Le notti invece erano una tortura.

Tutte le sere quel sultano veniva a salutare le sue spezie. Tutte le sere si ripeteva lo stesso rito e tutte le sere sistematicamente mi ignorava.

Mi aveva fatto divenire una spezia, per Dio! Perché mai mi ignorava in quel modo sfacciato. Il mio orgoglio femminile cominciò a sentirsi ferito. Non era più una questione puramente lavorativa, volevo essere scelta e non sopportavo l’idea che a me non riservasse nemmeno un dannato sguardo. Forse Paprika conosceva il sultano meglio di quanto credessi. Aveva detto che non sembravo il suo tipo e cominciai a temere che avesse visto il giusto.

Quella sera il mio ego era sotto terra. Non avrei tollerato ancora a lungo quell’atteggiamento così distaccato. Mi ero sempre considerata una donna con un suo fascino e adesso, tutto ad un tratto, mi sentivo insicura, fragile. Non ebbi il coraggio di guardarlo negli occhi, così fissai le ciabattine dorate che indossavo e attesi che passasse oltre, come sempre. Un silenzio imprevisto mi fece realizzare che il sultano era davanti a me e questa volta era fermo. Attendeva qualcosa, forse un mio saluto, un cenno. Emozionata più di quanto mi aspettassi, non riuscii a sollevare lo sguardo.

«Direi che sei pronta. Ti aspetto dopo».

Una voce calda, carezzevole mi confuse ancor di più. Alzai lo sguardo per perdermi in due occhi scuri, ma fu solo un attimo, perché proseguì oltre per salutare anche le altre spezie.

Ero stata scelta: finalmente!

***

 

Scoprii che l’essere scelte comportava un nuovo rito di preparazione. Le ancelle si affrettarono a lavarmi nuovamente, massaggiarmi con oli profumati, pettinarmi con cura e cambiarmi l’abito. Scelsero qualcosa di decisamente più trasparente e colorato.

C’ero quasi, era quasi fatta. Ancora poco e i segreti del sultano dell’harem mi sarebbero stati svelati.

Le ancelle mi condussero nelle sue stanze. Finalmente ero da sola con lui, l’avrei sedotto e mi sarei fatta raccontare tutto, per poi rivelarlo al mondo. Ancora poco e quello stupido harem non sarebbe esistito più, quelle donne sarebbero state libere, magari mi avrebbero anche ringraziata un giorno, chissà.

Lo trovai sdraiato su dei morbidi cuscini, completamente vestito e col volto ancora coperto. Mi avvicinai cercando di mostrarmi sensuale. Mi inginocchiai accanto a lui e allungai le mani per liberarlo del velo.

«Mio signore permettete?» chiesi, mentre le dita tremavano un po’ per l’emozione. Mancava pochissimo, pochi centimetri di stoffa e avrei potuto finalmente scoprire il suo viso.

Un presa decisa sulle mie mani mi bloccò.

«La fretta è una cattiva consigliera, mia cara».

Mi morsi il labbro nervosa. Volevo scoprirne il volto, oramai era divenuta una specie di ossessione. «Vi prego mio signore, mostratemi il volto. Sono settimane che desidero vederlo. Concedetemi solo questo». Lo stavo supplicando! Mi sorpresi io stessa per il tono che mio malgrado era venuto fuori. Dall’espressione degli occhi compresi che stava sorridendo.

«Ogni cosa a suo tempo».

Abbassai lo sguardo chiedendomi che strategia adottare con quell’uomo bizzarro. Forse amava le donne sottomesse, in fin dei conti era un sultano. Mi aveva fatta attendere per esasperarmi, per piegare il mio animo e rendermi debole e compiacente, doveva essere così.

«Lasciate che mi spogli per voi» dissi cercando di liberare le mani che erano ancora strette tra le sue.

Le strinse di più.

«Ogni cosa a suo tempo, ho detto» ripeté con tono gentile ma determinato.

Mi stava rifiutando. Ancora una volta! Il labbro tremò per l’agitazione e sbattei le palpebre più volte sentendo gli occhi improvvisamente umidi.

Un tocco gentile mi fece sussultare. Mi accarezzò la guancia, poi le labbra, seguendone il contorno.

«Scriverai un buon articolo, ne sono sicuro» disse ad un tratto sorprendendomi, mentre con dolcezza mi sfiorava il volto col suo. Chiusi gli occhi gustandomi la carezza di quel tessuto sulla pelle. Mi fece stendere accanto a sé.

«Come fa a sapere che sono una giornalista?» chiesi smarrita, mentre con la punta delle dita percorreva il mio corpo con gentilezza.

Tacque.

«Perché mi ha fatto diventare una spezia?» sussurrai, godendomi quelle mani forti che mi sfioravano senza concedermi troppo, lasciandomi sempre più insoddisfatta.

«Voglio che tu faccia qualcosa per me» sussurrò all’orecchio, con tono carezzevole.

«Se lo farò mi concederà ciò che voglio?» chiesi mentre il mio sguardo diveniva liquido, la pelle sembrava pulsare di vita propria.

«E cosa vorresti?» disse, come se conoscesse già la risposta.

«Voglio conoscere tutto: il tuo volto, la tua storia… tutto» ripetei sempre più distante, rapita da mani troppo esperte.

«E sia» concluse soddisfatto della mia resa totale.

«Baciami» lo supplicai, improvvisamente inerme, bisognosa di tenerezze che non ero solita desiderare.

«Avrai ciò che chiedi se mi darai ciò che voglio» ripeté con voce suadente. Il Paradiso. Quell’uomo era capace di condurti in paradiso con le sole dita di una mano.

«Chiedimi qualsiasi cosa» dissi in un soffio, stringendomi alla sua tunica per non liquefarmi del tutto e scivolare via, smarrita chissà dove.

«Una storia per ogni tuo desiderio. Quando la tua curiosità sarà stata appagata, sarai libera di andare».

Lo guardai confusa, la mente annebbiata.

Una storia?

Mi ritrovai a sorridere sconfitta. Era più furbo di quel che pensassi, mi aveva fatta sua, prima ancora di possedermi davvero. Ero sua prigioniera e lo sarei stata ancora per molte, molte notti.

Adesso ero davvero una spezia. Elena Marras non c’era più.

 Fleur Du Mar