Il Sognatore.

Il primo capitolo della nuova duologia di Laini Taylor, già autrice dell’acclamata trilogia La chimera di Praga, conferma il suo talento narrativo e vi rapirà in un incanto.

Il sognatore

Laini Taylor

lainYa Fazi Editore

5 luglio 2018

È il sogno a scegliere il sognatore, e non il contrario: Lazlo Strange ne è sicuro, ma è anche assolutamente certo che il suo sogno sia destinato a non avverarsi mai. Orfano, allevato da monaci austeri che hanno cercato in tutti i modi di estirpare dalla sua mente il germe della fantasia, il piccolo Lazlo sembra destinato a un’esistenza anonima. Eppure il bambino rimane affascinato dai racconti confusi di un monaco anziano, racconti che parlano della città perduta di Pianto, caduta nell’oblio da duecento anni: ma quale evento inimmaginabile e terribile ha cancellato questo luogo mitico dalla memoria del mondo? I segreti della città leggendaria si trasformano per Lazlo in un’ossessione. Una volta diventato bibliotecario, il ragazzo alimenterà la sua sete di conoscenza con le storie contenute nei libri dimenticati della Grande Biblioteca, pur sapendo che il suo sogno più grande, ossia vedere la misteriosa Pianto con i propri occhi, rimarrà irrealizzato. Ma quando un eroe straniero, chiamato il Massacratore degli Dèi, e la sua delegazione di guerrieri si presentano alla biblioteca, per Strange il Sognatore si delinea l’opportunità di vivere un’avventura dalle premesse straordinarie.
Il sognatore, primo capitolo della nuova duologia di Laini Taylor, già autrice dell’acclamata trilogia La chimera di Praga, non fa che confermarne il grande talento narrativo. In un mondo fantastico e allo stesso tempo perfettamente credibile, abitato da personaggi indimenticabili, il lettore è chiamato a seguire il sogno di Lazlo Strange, perdendosi con lui tra realtà e magia, amore e violenza, terrore e meraviglia.

Suggestivo.

Uno dei tratti distintivi di un autore -che sia un narratore autentico, badate bene – è la capacità di evocare, dar vita a mondi possibili e “altri”, attingendo al patrimonio mitico, al bagaglio culturale e alle memorie collettive, trascinando il lettore nella suggestione, lì, tra le pagine.
Dove quel mondo diventa reale, vivo.

In un genere così delicato e complesso (vale per lo YA e per il fantasy), ancora una volta questa autrice si muove con naturalezza e in modo maturo proponendo mondi fantastici ed affascinanti, popolati da dei, eroi, maghi, alchimisti e fantasmi, creature sovrannaturali e umanissime in una avventura avvincente. Non solo, Laini Taylor lascia una traccia profonda con il suo sperimentalismo linguistico e la prosa preziosissima, tanto da caricare ogni periodo di musicalità e rimandi evocativi, metaforici, muovendosi all’interno del simbolismo linguistico.
Questione di stile.
La potenza narrativa è data dall’ immaginario cui attinge, il ritmo dal periodare.

Un mondo fantastico e allo stesso tempo perfettamente credibile, animato da personaggi straordinari, che ha come protagonista un orfano speciale.In realtà è il sogno vero protagonista.
Chi può sognare e chi non può…Ma seguire il proprio sogno è inevitabile, proprio come per Lazlo Strange, perduto tra realtà e magia, amore e violenza, paura e stupore.
Nella meraviglia.

Lazlo è orfano, sognatore sradicato dalla realtà e dal mondo, bibliotecario appassionato, fervente studioso

…lui era un orfano, e uno Strange, e per quanto fosse incline alla fantasia, non si fece mai nessuna illusione su questo. Sin da bambino capì che non ci sarebbe stata alcuna rivelazione. Nessuno sarebbe venuto a prenderlo e lui non avrebbe mai conosciuto il suo vero nome. E forse è per questo che il mistero della città di Pianto lo catturò così completamente. In realtà i misteri erano due: uno antico, uno nuovo. Quello antico gli aprì la mente, ma fu quello nuovo a farsi strada dentro di lui, a compiere lenti giri circolari e finalmente ad assestarsi con un grugnito –come un drago soddisfatto in una comoda tana nuova. E lì sarebbe rimasto

II suo giovane spirito, irrequieto e assetato di conoscenza, scalpita per abbandonare monaci, regole e una vita di doveri e mortificazione. Tormentato da un sogno impossibile, dal desiderio di rievocare il nome e svelare il segreto di quella città perduta, proibita, invisibile, custodita nella memoria del tempo e nei ricordi, ferocemente.

Da qualche parte, in quell’immenso vuoto, sorgeva una città che nessuno aveva mai visto. Era una diceria, una leggenda, ma era una diceria e una leggenda da cui arrivavano meraviglie portate dai cammelli attraverso il deserto per infiammare le fantasie delle genti di tutto il mondo. La città aveva un nome.

Colleziona storie come gemme preziose, ricordi romanzati e impreziositi dalle tradizioni come tesori del suo bagaglio personale, perché Lazlo non possiede nulla, se non la sua mente vivace ed agile, il suo spirito indomito e le storie raccolte qua e là, la sua personale riserva aurifera.
Lontano dalla contemplazione spirituale per un colpo di fortuna -uno scherzo del destino- è assunto nella Grande Biblioteca di Zosma come apprendista.

«La biblioteca conosce la sua stessa mente», gli disse il vecchio mastro Hyrrokkin, guidandolo su per le scale segrete. «Quando rapisce un bambino, glielo lasciamo tenere».
Nelle occasioni in cui alzava davvero gli occhi dalla pagina, sembrava sempre che si svegliasse da un sogno. Strange il Sognatore, lo chiamavano. Il sognatore, Strange…testa fra le nuvole, mondo tutto suo, fiabe e fantasia. Ecco che cosa intendevano quando lo chiamavano sognatore, e non si sbagliavano, ma non coglievano il punto principale. Lazlo era un sognatore in un senso più profondo di quello che loro conoscevano. Vale a dire che lui aveva un sogno –un sogno guida e duraturo, talmente parte di lui da sembrare una seconda anima nella stessa pelle. Il paesaggio della sua mente era tutto dedicato a questo. Era un paesaggio profondo e incantevole e un sogno audace e magnifico. Troppo audace, troppo magnifico per quelli come lui. Lazlo lo sapeva, ma è il sogno a scegliere il sognatore, non il contrario.

«Che cos’è un orizzonte?», domandò Lazlo, impassibile. «È come la fine di una corsia di libri?». «No»

Ma l’orizzonte che desiderava guardare era davvero molto lontano. E anche, guarda caso, proibito.

La Città Invisibile sembra un mito o un illusione, una favola per i bambini, eppure due secoli prima qualcosa è accaduto, quindici anni prima è successo qualcosa. La città ha perduto il suo nome ed esiste un poterein grado di cancellare un nome dalle menti del mondo.
Lazlo vuole scoprirlo. È questo il suo sogno, audace e superbo, impossibile e disperato, come i grandi sogni.

Carta, inchiostro e anni. Carta, inchiostro, anni e il suo sogno.
Scosse la testa. Il suo sogno era nella sua mente e nella sua anima.
A volte un istante è talmente straordinario da ritagliarsi uno spazio tutto suo nel tempo e continuare a girare lì, mentre tutto il mondo gli scorre intorno. Questo fu uno di quei momenti.
C’era del fuoco in lui. Non si era estinto, era soltanto ricoperto, ma, prima che tutto fosse finito, avrebbe bruciato come le ali dei serafini.

Il Massacratore degli dei, l’eroe leggendario della città invisibile, tristemente nota dopo l’oblio con il nome di convenienza di Pianto, giunge a Zosma a capo di un esercito fantastico. Sono alla ricerca di uomini eletti, speciali, di talento ed abilità non comuni, che osino unirsi alla loro spedizione per una missione speciale. A Pianto. Tra i faranji alchimisti, filosofi, scienziati e botanici, anche Lazlo troverà il suo posto. Perché Lazlo diventa il protagonista di una storia mai raccontata, un eroe inconsapevole.

Contro ogni probabilità, il suo sogno impossibile aveva attraversato deserti e montagne per venire a Zosma e presentare un invito senza precedenti.

II Sognatore parte ed insegue il suo sogno tra le nebbie del deserto, un percorso durante il quale smarrisce la sua vaghezza sognante per acquisire un’intensità da cercatore e il magnetismo del cantastorie, del rapsodo, del custode di una saggezza antica. Sei mesi in sella a un animale, insieme ai Tizerkane.

Tale è stata la forza di sei mesi di orizzonti.
Orizzonti invece di libri. Cavalcare invece di leggere. Era tutta un’altra vita, lì, ma non ci si poteva sbagliare: Lazlo era ancora in tutto eper tutto il sognatore che era sempre stato, se non di più. Forse si era lasciato alle spalle i libri, ma portava con sé tutte le sue storie, fuori dai cantucci poco illuminati della biblioteca e in panorami di gran lunga più adeguati.

Pianto si rivela un sogno divenuto realtà in cui c’è chi non osa sognare.

Sarai non sognava. Non osava…vedeva gli abitanti di Pianto ogni notte, ma non per questo era più facile. Al contrario. Ogni notte era testimone di cose che non avrebbe mai potuto avere. Non era vivere, quello. Era una tortura.
«Magari non ho i miei sogni personali», disse, come se fosse un fatto insignificante, «ma ho quelli di tutti gli altri».
«Non è la stessa cosa. È come leggere mille diari invece di scrivere il proprio».
«Stavo solo pensando», continuò Sparrow, «a quanto la nostra vita da svegli somigli alla fortezza. Circoscritta, intendo. Al chiuso, senza cielo. Ma sognare è come il giardino. Puoi uscire dalla tua prigione e sentire il cielo intorno a te. Nei sogni puoi essere ovunque. Puoi essere libera. Anche tu meriti questo, Sarai».

«Se la fortezza è la nostra prigione», rispose Sarai, «è anche il nostro rifugio».

Il Massacro è storia, leggenda, vero e reale spargimento di sangue. La fine di un mondo e l’inizio di un altro per gli abitanti di Pianto.
Gradualmente la storia tra le storie si svela (io farò i salti mortali per non rovinarvi la sorpresa meravigliosa del plot), la storia di Pianto, così tragica e sublime da sembrare una invenzione di Lazlo, una delle sue fiabe…L’età degli dèi ha lasciato dopo secoli di dominio tracce profonde, cicatrici, incubi, come segni di odio impressi nella memoria di una città dimenticata.Odio inesauribile, inestirpabile. La ribellione ma non la salvezza, non la libertà per un popolo sprofondato nella nebbia dell’ oblio e nell oscurità.
Cinque sopravvissuti nella fortezza, giovani, con un dono e una regola

Nessuna prova di esistenza.

Sopravvissuti al Massacro vivendo di stenti, nascosti agli umani, per quindici anni.
Feral Ladro di Nubi, Sparrow Strega Orchidea, che sente il pulsare della vita nelle cose e lo nutre per farle crescere, quasi la personificazione di Primavera, Ruby Falò, passionale e ardente come un incendio fuori controllo, Minya inquietante bambina priva di innocenza, traghettatrice ostile di anime e poi Sarai.

Un tempo, erano esistiti gli dèi.
Ora c’erano soltanto bambini che andavano in giro indossando la biancheria dei loro genitori.

Sarai aveva diciassette anni, era una dea e una ragazza. Metà del suo sangue era umano, ma non contava niente. Lei era blu. Era la progenie di una dea. Era un anatema. Era giovane. Era bella. Era impaurita.

Quando una falena si posava sulla fronte di una persona addormentata, Sarai veniva immersa nei suoi sogni.
inutile spettatrice. Non appena entrava –un’invisibile predatrice…

Falene e nuvole rubate, fiori, germogli, fuoco e fantasmi. In silenzio, quasi inermi, in attesa, nascosti per scongiurare un secondo Massacro.

La loro unica speranza stava nel non essere trovati.

Era questo il lavoro che assegnava a se stessa: intessere in tutti i sogni di Pianto una paura tanto potente che nessuno avrebbe sopportato di guardare la fortezza, men che mai avvicinarvisi. Fino a quel momento era bastato.
Invisibile, incorporea, inconsistente come un sussurro, Sarai scivolò nei loro sogni e quello che vi scoprì, nelle ore seguenti, dimostrò che gli stranieri erano tutt’altro che ridicoli.

Un sorriso. I sorrisi erano abbastanza rari, data la natura del suo lavoro, ma in una notte come quella, piena di scoperte come quelle, era impensabile. Lo appiattì con le mani, vergognandosi, e continuò a camminare. Così quel faranji era bravo a sognare? E allora? Niente di tutto questo le era utile. Chi era quel sognatore? Che cosa stava facendo lì?

Nome rubato, cielo rubato. Bambini rubati, anni rubati. Uomini e Mesarthim divisi tra cielo e terra, dall’odio e dalla paura, da una realtà impossibile da accettare. Incapaci di sperare , perdonare, amare e…sognare.

Rimasero soltanto lui e la dea dallo sguardo penetrante e l’aroma di nettare e… la gravità. Non gravità nel senso di serietà –sì, anche –ma gravità nel senso di forza d’attrazione. Lazlo ebbe la sensazione che fosse lei il centro di quella piccola galassia surreale
Sarai sussultò. Sentì il calore della pelle di Lazlo sulla sua. Un’esplosione di connessioni –o collisioni, come se entrambi avessero vagato nello stesso labirinto fino a quel momento e finalmente avessero girato l’angolo che li aveva portati faccia a faccia.

…la sua mente aveva toccato la mente di lei, e questa gli sembrava una realtà più profonda e persino un’intimità più grande. Lei aveva sussultato al suo tocco, e i suoi occhi si erano spalancati. Era stato reale anche per lei, pensò.

Ogni emozione, ogni sensazione. La grana della sua pelle, il profumo dei suoi capelli, il calore del suo respiro attraverso la camicia di lino e persino l’umidità delle lacrime che la impregnavano. Ma la sensazione più intensa fu l’assoluta, ineffabile tenerezza che provò, e la solennità. Come se gli fosse stato affidato qualcosa di infinitamente prezioso. Come se avesse preso una quercia e ne avesse fatto la custode della sua stessa vita.

Il sentimento come forza primitiva, come puro istinto e intuito, avvicinerà i due giovani. Come falene nella notte oscura che si orientano e vivono senza riferimenti, sostenute solo dall’intuito, si cercano disperatamente, si muovono nella certezza di trovare quel che si cerca. La luce nel buio e nel buio la luce. La luce, la conoscenza dei segreti del mondo, la verità, saranno dolorose. Come falene eteree che cercano il sole ma temono di bruciarsi

Lui l’attirò ancora più vicina. Lei intrecciò le dita nei suoi lunghi capelli scuri. Le loro bocche erano morbide e lente. I baci sulla terra erano stati da capogiro. Questo era diverso. Era riverente. Era una promessa che entrambi si scambiarono lasciando dietro di loro una scia di fuoco, come una cometa. Lazlo sapeva che non era la sua volontà a portarli verso la terra. Anche Sarai era una fabbricante di sogni e questa scelta era tutta sua. Lazlo le aveva dato la luna che aveva al polso, le stelle che lo adornavano, il sole nel suo barattolo sullo scaffale con le lucciole. Le aveva dato persino le ali. Ma quello che lei desiderava di più in quel momento, non era il cielo.

La capacità inesauribile dell’autrice di affascinare il lettore consentirà di tessere una trama complessa e ricchissima, in cui si collegano i destini di personaggi indimenticabili, dalla personalizzazione spiccata, in un ordito fittissimo impreziosito dall’ambientazione epica, grandiosa.
In un crescendo continuo accompagneremo Lazlo nella sua ricerca fino alla rivelazione finale, affiancheremo il tragico eroe Eril-Fane, seguiremo Sarai nel compiersi fatale del suo destino.
I personaggi giganteggiano per complessità e carisma , valorizzati dalla prosa limpida e preziosa che presenta tratti di lirismo e nel registro tocca punte di tragico e sublime quando raggiunge la drammaticità mai esasperata, enfatica (appassionata, sostenuta) non enfatizzata (eccessiva, ridondante).

Le premesse al secondo appuntamento sono PAZZESCHE…(ho già comprato il secondo volume e li prenderò in lingua originale, per tenerli come un piccolo tesoro nella mia libreria).

Una storia semplicemente meravigliosa ed emozionante, un viaggio indimenticabile, tra simbolismo e umanità.
Parole e immagini potenti, una autrice che, come delicatissimo demiurgo, con un tocco lieve attinge al suo immaginario inesauribile per regalarci un sogno breve come un battito d’ali.
Un libro che è un sogno.

Indimenticabile.

Saffron

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