Mi prese per il polso obbligandomi a voltarmi. Con uno strattone mi trascinò verso di sé, facendomi scontrare con il suo petto duro. <Che cosa vuoi da me?> sussurrai ansiosa, con il cuore che batteva forte.
Il suo sguardo era freddo, gelido e non faceva trasparire nessun tipo di emozione. Resosi conto che mi stava lasciando il segno al polso, si staccò velocemente come se io fossi un’edera velenosa.
Nessuno fiatava e di certo non mi sarei permessa di dire una parola. Lo odiavo, ne ero certa. Ma lo desideravo da impazzire e per questo mi disprezzavo. Dovevo scappare via, lasciarmi tutto alle spalle. Sapevo che, incontrandolo di nuovo, tutto lo schifo che mi aveva gettato addosso sarebbe riemerso. Ero come una drogata, consapevole di avere una dipendenza ma senza riuscire ad ammetterlo con me stessa.
Mi nascondevo dietro un dito, credevo che prima o poi le cose sarebbero cambiate.
Appena prima di voltarmi per fuggire, mi spinse al muro e schiacciò le sue labbra carnose alle mie. Ero in balia di un mostro senza cuore, ma così eccitata da non riuscire a respingerlo. Mi ficcò la lingua in bocca, mi diede un morso fino a farmi uscire del sangue, mi succhiò e mi strattonò fin quando non mi aggrappai a lui. Le sue mani stringevano forte i miei fianchi e gradualmente finirono sotto il mio sedere, poi su per l’addome fino al mio petto. Sprovvisto di dolcezza ,mi strinse forte i capezzoli fino a farmi gemere di dolore. Strusciai il bacino contro la sua erezione e trasalì con un grugnito roco.
<Non osare toccarmi, questo è solo per me. Tu non puoi godere, non meriti un cazzo da me.>
Doveva sempre ricordarmi che quando facevamo sesso, o scopare come diceva lui, il piacere era solo il suo. Ero il giocattolino preferito, a portata di mano. Mi avvelenava il sangue con la sua presenza, e io non riuscivo a disintossicarmi. Appena credevo di risalire in superficie, subito lui mi faceva precipitare sul fondo. Era una relazione malata, la nostra. Fottevamo solamente, io ero innamorata persa senza essere ricambiata.
C’erano momenti in cui il suo sguardo tradiva qualche piccolo sentimento, ma subito svaniva rimpiazzato dalla sua solita freddezza. Era stato chiaro sin dall’inizio. Niente legami, niente sentimenti. Solo due corpi che si danno piacere.
È proprio vero, noi donne non sappiamo scindere il sesso dall ’amore. Ero come una pezza sporca. Più la usi e più si incrosta. Più la lavi e più si sgrana. Ormai il mio corpo e il mio cuore erano frantumati, rotti, scheggiati.
Il desiderio smanioso di ritrovarmi sotto le lenzuola con lui era come un fuoco che non riuscivo a spegnere. Quasi leggendomi nella mente, mi strappò di dosso tutti i vestiti, slacciò la sua cintura e, senza dire una parola, mi penetrò velocemente,sul pavimento, privo di riguardo. Dio come mi odiavo per quelle sensazioni che provavo. Dovevo assolutamente tornare vigile e dargli un calcio nelle palle, ma non riuscivo a riconnettere il cervello. Intanto si spingeva sempre più a fondo. Non c’era amore in questo amplesso, solo voglia di far ribollire il sangue fino a venire. Il mio sesso grondava d’eccitazione,volevo piagnucolare di desiderio ma restavo sempre in silenzio. Non volevo altre percosse solo per il fatto di godere. Era stato chiaro, solo il suo piacere e non il mio. Io docile come una sottomessa acconsentivo a tutto pur di stare con lui. Che carogna. Sentivo che stava per venire. Il suo corpo mano a mano s’irrigidiva, le vene del collo pulsavano velocemente, il viso rivolto verso l’alto e gli occhi chiusi. Chissà se pensava ad un’altra donna per eccitarsi all’inverosimile. Poi in un secondo mi penetrò più a fondo che poté e venne gemendo. Dopo che l’ultimo goccio dei suoi umori fu riversato dentro di me, si allacciò la patta dei pantaloni.
Si alzò, si risistemò la maglia e, dirigendosi verso la porta, non mi concesse nemmeno uno sguardo. Mi lasciò lì tremante e sconvolta. Promisi a me stessa di non farmi più calpestare dall’ unico uomo che amavo davvero. Che stronzo!
Ansimante mi svegliai. Cazzo era solo un sogno. Fortunatamente!
Almeno era quello che speravo. Mi trovavo in quella maledetta stanza dell’hotel Piccadù. La mia coscienza sperava che ciò non fosse successo. Ma, per l’ennesima volta, tutto era capitato secondo il solito cliché. Lui che mi cercava, io che lo assecondavo, lui che mi abbandonava. Dovevo andarmene al più presto da quella città. Non riuscivo più a respirare. Sentivo un peso asfissiante al petto. Avevo le lacrime agli occhi, non mi capacitavo della mia stupidità. Ti prego signore, aiutami a superare questo periodo merdoso della mia vita.
Cercai i vestiti per tutta la stanza. Erano ridotti a brandelli. Sarei dovuta uscire mezza svestita. Come la puttana che ero. Mezza donna e mezzo zerbino. Armata di coraggio, mi rimisi la maglia e la gonnellina.
Gli unici vestiti buoni che avevo. Mi ero preparata con tanta cura. Avevo scelto appositamente la maglia con lo scollo a cuore e di un rosso brillante. Il cotone era morbido al tatto e profumava di pulito, la gonna invece era ampia e nera, arrivava fin sopra il ginocchio. Il tessuto era pesante ma soffice.
Le calze erano tutte stracciate. Infilai le scarpe, mi affacciai alla porta e vedendo che non c’era nessuno, mi diressi alla mia auto. Chiusa nell’abitacolo, con il pugno stretto, diedi mille colpi allo sterzo. Sentivo di dover urlare, di sfogarmi con qualcuno. Ma nel silenzio di quella gabbia non riuscivo a proferire parola.
Merda, ero proprio una donna facile. Non avevo rispetto di me stessa. Ma quando vedevo i suoi occhi verdi, così profondi, così ipnotizzanti, il mio cervello si spegneva. Come dotato di interruttore proprio, il mio corpo si azionava per compiacerlo in ciò che lui mi diceva o mi faceva.
Ricordo come se fosse oggi la prima volta che facemmo del sesso sfrenato insieme. Non ci conoscevamo, ma lui mi fissava spudoratamente.
<So quello che vuoi, come lo vuoi e quanto ne vuoi. Non scappare, perché altrimenti io ti troverò. Quello che voglio me lo prendo sempre. E tu sei ciò che in questo momento m’interessa. Ascolta bene quello che dico. Niente sentimenti, niente legami. Solo il mio corpo che gode del tuo corpo. E se sarai all’altezza, forse anche il tuo corpo godrà del mio.>
Mi aveva portato in un lurido hotel, di quelli che si trovano lungo le statali. Io spaventata non riuscivo a non stargli appiccicata. Quando fummo dentro quelle quattro mura, tutto ebbe un senso. Credeva di potermi scopare solo per il gusto di farlo. Perché lui aveva deciso così. Io ero ferma a non scendere a patti, ma appena mi guardò mi sciolsi come neve al sole. Occhi così famelici mai visti in vita mia. Facevano quasi ribrezzo. Ero il suo pezzo di carne preferito e ne ero consapevole e attratta. Mi sentivo sporca solo per il fatto di desiderare che lui facesse di me quello che voleva.
Mi prese i capelli dall’attaccatura sopra la nuca, li strinse con vigore e mi tirò la testa all’indietro. Mi succhiò forte il collo: credevo di bruciare sotto le sue mani, di andare in combustione solo attraverso la sua lingua che leccava prepotentemente la parte sopra la clavicola. Mi spinse contro la parete e dal forte impatto mi mancò il fiato. Mi strappò la camicetta e la gettò via. Slacciò il reggiseno lasciandomi nuda dalla vita in sù. Mi baciò contro la mia volontà, ma appena inizio a mordicchiarmi, le mie labbra si aprirono automaticamente al suo attacco. Dio, che incazzatura che mi montava dentro. Non riuscivo a rimanere impassibile alle sue azioni. Mi prese con forza e mi buttò sopra il letto. Si tolse la maglia restando mezzo nudo. Intanto io mi allungavo verso la testiera del letto, alla ricerca di un angolino dove poter stare tranquilla. Evidentemente, la mia mossa lo fece imbestialire, perché mi tirò per una caviglia.
<Ferma dove sei. Decido io come ti muovi e se lo fai è solo sotto mio ordine. Adesso visto che volevi sfuggirmi sarò ancora più violento> ruggì.
Il cuore mi batteva all’impazzata, e la vocina nella mia testa mi diceva che era proprio quello che volevo. Ero grondante in mezzo alle gambe. Un altro movimento e sarei venuta seduta stante. Da quando in qua mi attizzava essere maltrattata prima di fare l’amore? Avevo la necessità che entrasse dentro di me e mi facesse sua all’istante. Mi slaccio la gonna e mi strappò il perizoma. Nuda, sdraiata in mezzo al letto, pronta per lui. Aprì i suoi pantaloni, si infilò una mano dentro gli slip e portò fuori la sua erezione. Era lucida e piccole goccioline sgorgavano dal glande. Ansimante si posizionò davanti a me, e io come una brava scolaretta all’ordine dell’ insegnante, spalancai le gambe per fargli spazio. Il bastardo sogghignando si abbassò fino a sfiorarmi, poi senza indugio infilò in suo pene dentro di me. Che sensazione celestiale. Violenta ma celestiale. Si spinse così forte che pensavo di essermi rotta a metà. Trasalimmo entrambi quando si allontanò e con forza si spinse ancora dentro di me. Un altro colpo di quel tipo e sarei morta di piacere.
Iniziò a muoversi velocemente. Non c’era altro contatto tra di noi. Nessuna carezza amorevole. Solo gemiti di piacere. Grugniti di dolore misto a eccitazione. Come sarei potuta tornare alla misera realtà che mi opprimeva giorno dopo giorno? Fuggivo da una vita catastrofica. Nessuno che mi amasse sul serio. Ma forse ero io che non davo mai molto di me. Solo rapporti superficiali. Col sudore che colava dai nostri corpi, l’attrito tra di noi era morbido. Con prepotenza mi prese i polsi e li mise sopra la mia testa tenendoli con una mano. Stava per venirmi dentro e non me ne fregava niente. Non lo conoscevo ma sentivo la necessità di avere un pezzo di lui dentro di me. La ragione mi aveva abbandonato. Al posto suo sentivo solo il sangue ribollirmi nelle vene. Aumentò la potenza delle spinte. Sapevo che stava per succedere. Con un urlo soffocato si svuotò in me e io mi svuotai sopra la parte più calda di lui. Ero appagata. Solo alla fine mi accorsi che aveva i pantaloni e le scarpe ancora addosso. Una sveltina per allietarsi la serata, questo ero stata. Niente di più, niente di meno.
Si diresse in bagno, si lavò e tornò in camera. Io ero rimasta bloccata in posizione fetale. Non mi capacitavo di quello che era appena successo. Un cazzo di sconosciuto si era preso una parte di me io lo avevo lasciato fare. Mi fissò per un istante, quasi a volermi dire qualcosa. Poi indossò la maglia, si tastò le tasche dei jeans e mise una banconota da cento dollari sopra il comò.
<La stanza è pagata. Lavati e appena hai finito vattene via. Al mio ritorno non ti voglio trovare di nuovo qui> si diresse alla porta e prima di uscire, senza voltarsi, mi ordinò : <Prendi quei soldi. Quando avrò bisogno di te mi farò sentire. >
E così si chiuse la porta alle spalle.
Da quel giorno tutte le volte che sentiva le necessità di svuotarsi le palle, mi chiamava. Ed io, come una puttana, lo lasciavo fare.
FINE
Aisha Agapoùse